Fenomenologia dello stress (da Mario Rossi a Genny ‘a carogna)

di | 6 Maggio 2014

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La prenderò un po’ alla lontana, dunque abbiate pazienza.

La vedete la foto che introduce il post? Sono due reduci della terribile battaglia di Gettysburg, quella in cui furono macellati migliaia di soldati Confederati e dell’Unione nella famigerata guerra di Secessione americana. Si rincontrarono nella cerimonia commemorativa del 1913, entrambi vecchi, e si strinsero la mano con la serena disperazione dei sopravvissuti. Erano passati molti anni, gli Stati Uniti si apprestavano a diventare una potenza mondiale e di lì a poco avrebbero cominciato a esportare i loro metodi da far west anche nel buon vecchio continente (e nel resto del mondo). I due vecchi, con ogni probabilità, avevano compreso di essere stati solo carne da cannone per fini sporchi e più grandi di loro: quando afferri una verità del genere smetti pure di odiarti, qualunque sia il colore della casacca del tuo avversario. Impari che a contare sono gli uomini, alla fine, anche se chi tira le fila del teatrino non tiene gli uomini in alcun conto. Nei loro occhi non c’è traccia di stress, qualunque cosa significhi questo amena parolina. Solo consapevolezza, e forse perdono. Per gli altri, certo, ma soprattutto per sé stessi.

Stamattina, per me, turno ecografico. Vedo tante persone, giovani, adulti, vecchi. Parlo con tutti, come è mia abitudine: in tanti mi dicono che il loro problema è colpa dello stress. Steatosi epatica? Sarà lo stress, dottore. Transaminasi mosse? Sapesse che stress in questo periodo, dottore. Colica renale? È un periodo di stress che non le dico. Quasi tutti ignorano che lo stress è una reazione buona e non dannosa dell’organismo a stimoli esterni di pericolo. Quasi tutti ignorano che se sei sovrappeso di 30 chili la colpa non è dello stress, qualunque cosa significhi, ma del fatto che la sera invece di andare a passeggiare per le vie della città preferisci svaccarti sul divano e sfondrarti di porcherie ipercaloriche guardando Amici di Maria De Filippi.

E invece, che meraviglia Genny ‘a Carogna seduto sulle inferriate dello stadio, con il suo popolo urlante alle spalle. Le braccia spalancate in un gesto di ecumenico possesso. Il ghigno irriverente stampato sul viso, mentre Renzi sulle tribune si caga addosso dalla paura. Incurante dei rotoli di grasso che la sua T-shirt, inneggiante all’assassino di poliziotti, non riesce a celare sul ventre prominente. I tatuaggi integrali, senza i quali oggi non sei nessuno. Genny ‘a carogna non conosce lo stress, potete starne certi. O no?

Tutti, guardando le spietate immagini televisive, hanno pensato allo stress del calciatore napoletano, quello con la cresta da nativo americano scemo, al cospetto di Genny ‘a carogna. O a quello dei carabinieri addetti al servizio d’ordine, che questa volta le mani rischiavano di spellarsele non per gli applausi agli eroici colleghi ma per menare i manganelli. O a quello del presidente Grasso, seconda carica dello stato, mentre in cinquantamila gli fischiavano sotto il naso l’inno nazionale. Ma nessuno, dico nessuno, ha pensato a quello di Genny ‘a carogna.

Il quale, prima di diventare Genny ‘a carogna, è stato un bambino come tutti. Con i suoi sogni nascosti nel cassetto, i colori con cui disegnava la pistola fumante di papà ma forse anche montagne verdi e animali fantastici. Gennaro, anche lui, ha avuto le sue prime cotte infantili. Ha guardato Heidi in televisione, come i suoi fratelli maggiori, e magari si è commosso quando quella pigna psicopatica di Clara ha ricominciato a camminare nell’incredulità di tutti gli assurdi protagonisti della storia.

Ma, soprattutto, immaginatevi l’esistenza di Gennaro prima che diventasse ‘a carogna: l’apprendistato terribile a cui si è dovuto sottoporre per trasformarsi in quel subumano che abbiamo ammirato in prima serata, a tutto schermo televisivo. Le scazzottate, le risse, gli sfregi da coltello. Le umiliazioni che ha dovuto ricevere da quelli più grandi di lui perché, ve lo dice uno che in mezzo alle sue strade bene o male c’è cresciuto, se non impari a prenderle sul serio non imparerai mai a darle come si deve. Le volte in cui non avrebbe avuto voglia, e invece ha dovuto spaccare teste e mani a qualcuno. Quelle in cui avrebbe preferito starsene a parlare con un amico dei fatti suoi, e invece c’era un’altra potenziale carogna a cui far abbassare la testa perché non prendesse il suo posto. Le volte in cui avrebbe voluto prendere in mano un libro e subito si è vergognato, perché nel suo ambiente coi libri ci si pulisce il culo. Le volte in cui avrebbe voluto ascoltare musica decente, ma il timore che qualcuno potesse dargli del finocchio lo ha riportato di prepotenza alla musica neomelodica napoletana e agli unz unz unz da discoteca tamarra. Le volte in cui si è vergognato del suo accento, dei suoi modi, di non saper mettere due parole una accanto all’altra per formare una frase di senso compiuto. Di quando a scuola il maestro lo guardava con disprezzo, anche se non poteva dirgli o fargli nulla perché lui era Gennaro, predestinato a diventare Genny ‘a carogna. L’umiliazione che talvolta deve coglierlo, in piena notte, quando si sveglia e ripensa a quel suo soprannome, ‘a carogna, e si chiede se realizzarsi nella vita equivale a essere trattato da tutti come una bestia feroce e senza cervello. Il disagio esistenziale di intuire che sei solo l’ultima ruota del carro, il babau decerebrato che fa cagare addosso dalla paura i renzi e i grasso di turno allo stadio, l’esecutore finale che presta la mano per pestare il reticente o ammazzare il traditore, il capopopolo che fuori del suo quartiere non saprebbe nemmeno attraversare la strada, uno a cui non sapresti cosa dire, se lo incontrassi in terreno neutrale, e lui non avrebbe nulla da dire a te.

Sono certo che anche Genny ‘a carogna conosce lo stress, e lo conosce più del ragazzone sovrappeso con la steatosi epatica a cui ho fatto stamattina una inutile ecografia. Perché in fondo, e qui il cerchio si chiude, persino Genny ‘a carogna sa benissimo che gli unici al mondo con i coglioni fumanti sono i due vecchietti di Gettysburg: che la guerra vera, quella dei macellai, l’hanno fatta con onore e vergogna, e poi si sono stretti la mano prima di morire. Gli altri, quelli come le alte cariche dello stato, come il calciatore pettinato da scemo, come Genny ‘a carogna che tiene in pugno lo stadio Olimpico per una sera, non sono nulla, nulla hanno imparato nella vita e della vita, e nulla insegneranno agli altri.

Che poi è l’unico, vero stress che si possa provare: sapere che stai vivendo solo per te stesso e che dietro di te lascerai macerie, lamenti e sangue; e che generazioni di uomini ti malediranno in eterno o peggio ancora si dimenticheranno di te un attimo dopo che sarai morto, o ti avranno ammazzato come un cane.

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