L’università è cambiata. Ci sono corsi laurea di cui in questo momento non saprei ripetere il nome, altri che quando ero studente io venivano chiamati diplomi. Corsi triennali, corsi con il 3 +2 come le offerte al supermercato; e poi anche in medicina molto è cambiato, dovessi specializzarmi adesso in radiologia ci metterei cinque anni e non quattro (così imparano quelli che non hanno fatto il militare, che tanto l’anno in più lo perdono uguale).
Una attività che all’epoca mancava, e che avrei sfruttato con sommo gaudio, è il giudizio sull’attività dei professori. Sul loro livello di competenza, visto dalla parte dell’alunno; sulla capacità di spiegare, coinvolgere, catturare l’attenzione degli studenti. Sono giudizi in forma anonima, altrimenti uno gliela potrebbe far pagare; e secondo me tutto sommato, visto che lo studente universitario è tutelato verso i docenti come la minoranza curda nel vecchio Iraq, lo strumento è legittimo.
Ieri ho trovato nella mia posta ospedaliera un plico di fogli in una busta con lo stemma dell’università. L’ho scorso, trepidante, ed erano i giudizi dei miei alunni su quanto avevo prodotto a lezione: per un istante mi sono sentito al loro posto, di nuovo dalla parte sbagliata della scrivania, roso dalla preoccupazione di aver fallito. E poi invece c’era un foglio, uno su tutti, in cui c’era scritto più o meno: Il professore ci ha trasmesso amore per la sua materia.
Che, capite, per chi insegna è il più grosso complimento che si possa ricevere: oltre i risultati dei tuoi ragazzi, oltre la soddisfazione più o meno velata di pontificare da una cattedra, oltre l’accompagnare quello bravo fino alla laurea, se non ami quello che insegni, e se gli studenti non se ne accorgono, forse è meglio lasciar perdere e tornare alla pura e semplice radiologia quotidiana.