Giulio Cesare, in tempi non sospetti, si pose un problema molto serio: è meglio essere primi in Gallia o secondi a Roma? A raccontarcelo è Plutarco e sappiamo tutti come andò a finire la vicenda: il generale varcò il Rubicone e divenne il primo a Roma, recidendo brillantemente il problema alla radice. Ma sappiamo anche che Giulio Cesare è stato un unicum storico e che la storia è piena di gente come Marco Licinio e Gneo Pompeo, gli altri due membri del primo triumvirato: i più nelle vicende del mondo rimangono comprimari, e questo è un fatto.
L’altro fatto, poi vi spiegherò in che modo si collega al primo, è che qualche giorno fa i soci della SIRM hanno ricevuto una e-mail in cui venivano comunicati l’espulsione dalla società di 8 soci e il veto perenne all’iscrizione e alle attività societarie di altri 3 colleghi definiti, laconicamente, non-soci. La lettera, non me ne vogliano gli autori, è stata un fulgido esempio di suicidio mediatico e di come una comunicazione maldestra e non adeguata ai tempi possa arrecare parecchi danni a chi la maneggia: il tono della missiva è molto duro verso i radiologi espulsi, ma incredibilmente nessuno spiega i motivi della epurazione. Risultato inevitabile della genialata, il giorno dopo la casella postale del vostro affezionatissimo blogger era letteralmente ingolfata da mail di gente che chiedeva: Ma tu ne sai qualcosa? Puoi raccontarci i retroscena? E non è tutto: chi possiede il mio numero di cellulare ha pensato bene di assediarmi su What’s up con le stesse angoscianti domande. Addirittura qualcuno, che collabora con il blog e che manifesta spesso con una punta di sarcasmo la sua indiscussa sagacia, mi ha fatto un curioso e attualissimo parallelismo in tema di epurazioni tra SIRM e M5S: io ne ho sorriso e mi sono messo a pensare al modo in cui avrei potuto raccontare tutta la storia, pur senza esserne parte in causa se non in veste di semplice socio e attento osservatore. Per fortuna, sebbene con qualche ora di ritardo, a togliermi dall’impaccio è arrivata una seconda mail, questa volta a firma del Presidente, in cui le cause della drastica scelta sono state spiegate per sommi capi. Lasciando alcuni angoli in ombra, ma almeno chiarendo un minimo la situazione.
Il punto, in breve, è questo: un gruppo di radiologi interventisti, tra cui qualche nome eccellente, ha deciso di fondare una società autonoma di Radiologia Interventistica. La cosa, come immaginate, è in contrasto con le norme statutarie SIRM e ha provocato le conseguenze dolorose di cui siete stati un po’ maldestramente messi a parte. L’evento merita alcune considerazioni, amare, che si ricollegano alla storia di Giulio Cesare. Il Radiologo Interventista, l’ho sempre detto, è una razza a parte e questa sua diversità è destinata nel tempo ad assumere sempre più peso. È diverso dal Radiologo Generale come lo è, per dire, il senologo o il neuroradiologo: quando ci si iperspecializza in un campo così specifico può essere difficile trovare una piattaforma comune su cui ragionare. Ma la piattaforma comune esiste, ed è rappresentata dalla radice comune da cui tutti proveniamo.
Lo dico francamente e senza alcun genere di preconcetto: può essere difficile avere anche fare con un radiologo interventista puro. Per lui non esiste molto altro a parte i vasi e i visceri in cui, per vari fini, ficcare un qualche tipo di catetere o protesi o ago. Ma la struttura stessa di un reparto di Radiologia è destinato a modificarsi nel tempo, e le nostre strade a subire una lieve ma significativa divergenza: più che figure professionali diversificate, diventeremo figure complementari in strutture organizzate in modo completamente diverso (lo so che parlo da ottimista, con grande fiducia nel futuro, anche se di ottimismo ne possiedo ormai sempre meno).
Tuttavia, esiste un vizio di fondo che mi fa schierare a favore di chi ha optato per la scelta drastica di cui sopra: frammentare una società come la SIRM, per quanti problemi gravi la affliggano e per quanta strada ci sia ancora da fare verso una struttura migliore, è un grosso errore strategico. E non sto parlando di questioni formali o violazione di norme statutarie: io parlo di rappresentanza nazionale ai tavoli della politica, della legge naturale molto intuitiva per la quale più siamo a contrattare un risultato e più aumentano le probabilità di riuscire a portarlo a casa.
Certo, immagino che agli undici ribelli non importerà molto il mio punto di vista: sicuramente chi sull’altro versante della polemica ha mediato la questione, con argomenti certamente più solidi dei miei, non ha cavato un ragno dal buco. E immagino anche che i risultati, sulla breve distanza, saranno buoni: l’ambiente radiologico interventistico è l’unico in cui, in questi tempi di fame nera, gira ancora qualche quattrino. Sarà facile organizzare congressi, affiliarsi ad analoghe società estere, attrarre altri giovani colleghi innamorati delle metodiche interventiste. Ed è facile immaginare scenari in cui chi aderisce anche tangenzialmente alle iniziative del nuovo gruppo sarà fatto oggetto di rappresaglie ufficiali (anche se mi auguro che ciò, da parte di persone animate da buon senso, non accada). Ma è altrettanto facile, oggi, capire che l’iniziativa è destinata a fallire: se non nei fatti, sicuramente nelle conseguenze sul medio e lungo periodo.
Perché vi ho raccontato questa storia, tediando oltre modo il pubblico del blog che niente ha a che vedere con le piccole beghe interne di una società scientifica? Semplice: questa vicenda racconta in piccolo quello che sta accadendo in scala maggiore nel nostro paese: laddove finché le cose sono filate bene si riusciva a tenere insieme tutti, anche se con lo sputo, e adesso che butta male ognuno ragiona sull’utile del proprio piccolo quartiere e gli altri che si fottano. La strategia è la stessa ed è perdente, nel grande come nel piccolo.
Il guaio è che ce ne accorgeremo tutti, certo, ma quando sarà ormai troppo tardi per porci rimedio.