Giurare il falso incrociando le dita, però salvarsela la vita

di | 10 Ottobre 2021


Il ritorno a un congresso in presenza ha portato anche la possibilità di scambiarsi pareri, sensazioni, esperienze. Tra queste, la sensazione forte, fortissima, che i medici italiani percepiscano un’aria di sbaraccamento, di imminente trasloco, di fine corsa.

Forse non ve ne siete ancora resi conto, ma gli ospedali pubblici si stanno spopolando rapidamente, con progressione logaritmica. Chi rimane è sempre più provato e i pochi che arrivano hanno un atteggiamento che gli altri, più vecchi, faticano a comprendere. Sentir parlare di soldi come elemento chiave della propria vita professionale, da parte di un neospecialista di trenta e rotti anni, è l’inequivocabile segno dei tempi. Chi ha la mia età ricorda perfettamente il sentimento di gratitudine provato nell’essere stati assunti in ospedale e la soddisfazione di uno stipendio decoroso. Nessuno intendeva sottrarsi alle proprie mansioni: si stava tanto in ospedale, giorno e notte, e intanto si imparava un mestiere. L’idea di rifugiarsi nel privato, nella parte d’Italia in cui lavoravo, era inaudita: e infatti i centri privati erano pochissimi.

E c’era orgoglio, anche, un grande orgoglio di appartenenza: al reparto, ai colleghi, alla ULSS dove si lavorava. Ognuno di noi portava con sé l’eredità di colleghi scomparsi nelle nebbie del tempo, ricordati solo per racconti mitizzati dei tecnici più anziani, di vecchi referti stilati a mano che si materializzavano quasi per caso in cassetti impolverati, o in libri non più aperti da anni. Insieme a quell’eredità, immancabilmente, anche il desiderio di emulazione, di essere all’altezza del passato: unito alla certezza che con il tempo, se l’impegno profuso fosse stato sufficiente, il lavoro sarebbe stato premiato. Per quanto incredibile sia, ci sono stati tempi in cui nessuno avrebbe mai pensato che accorpare i primariati potesse essere una buona idea, e quindi puntare su una crescita professionale era possibile e lecito.

Insomma, non so se si è capito, ma il tempo utile per evitare che la barca affondi è finito. Non mettere le mani adesso su una riforma urgente della sanità pubblica vuol dire accettare l’idea che debba implodere, e farlo in tempi brevi. Oppure implica un progetto politico che viene colpevolmente taciuto: e, sinceramente, non so quale delle due opzioni sia la peggiore.


La canzone della clip è “Come salvarsi la vita”, di Roberto Vecchioni, tratta dall”album “Montecristo” (1979). Perché certe volte, come mi sembra di intuire dal tono della canzone stessa, l’unico modo per salvarsi la vita è volersela salvare a ogni costo.

2 pensieri su “Giurare il falso incrociando le dita, però salvarsela la vita

  1. lake1

    Lavoro in ospedale da 5 anni, sono uno di quelli di trenta e rotti anni di cui parli. Ho iniziato sentendomi felice di poter lavorare in ospedale, dove si fa fatica, ma a mio modo di vedere si affrontano casi complessi, e si impara più che in ogni altro luogo (almeno la mia disciplina). Non avrei mai pensato di “buttarmi” nel privato, pensavo fosse quasi una truffa per i pazienti che una persona senza esperienza si proponesse come “esperto”. Non ho mai pensato ai soldi, ho pensato solo a crescere, a migliorare a investire per il mio futuro. Devo dire però che i miei coetanei – e ormai anche più giovani – che la pensano come me sono pochi. E devo dire che dopo tanto impegno e voglia di migliorare (solo per passione) i servizi offerti dalla mia unità operativa, devo dire che comincio già a sentirmi deluso e stanco, perché poco in questi 5 anni è cambiato per il meglio (orari, sostituzione colleghi, progetti nuovi, possibilità anche solo di fruire le ferie e di aggiornarsi). Inoltre il rapporto con i pazienti è spesso conflittuale. Detto questo, sarò un illuso, ma nonostante tutto, io ancora ci credo. Almeno finché la salute tiene.

    1. Gaddo Autore articolo

      Tutto perfetto, siamo sulla stessa lunghezza d’onda. L’unico problema, come hai giustamente detto tu, è la salute. Speriamo che ci accompagni.

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