E poi ritorno or ora dalla Baviera: vi sarete pure accorti che per qualche giorno il radiologo grafomane non si è fatto vivo. Per giunta senza neanche avvisare, ma il momento della partenza era intriso di tale stanchezza che ho preferito spegnere tutti i terminali elettronici e perdermi in luoghi ameni dove riempirmi gli occhi di cose belle.
Quindi sono tornato in Italia ed è stato anche divertente, entro certi limiti, perché con il nostro furgoncino da nove posti dotato di navigatore satellitare siamo riusciti a sbagliare strada imboccando una strada panoramica austriaca che per transitarci bisognava pagare sull’unghia la bellezza di 32 euro: peccato solo che il tempo fosse terribile, non si vedesse nulla dello splendido panorama (perché a duemila e passa metri ci siamo ritrovati in un banco di nubi che neanche la nebbia ferrarese dei tempi d’oro) e che mio figlio grande, il quale normalmente ha lo stomaco di acciaio inossidabile, cominciasse a manifestare i classici segni di cinetosi da tornanti ripetuti. Discesi dal parco nazionale austriaco abbiamo scollinato di nuovo ma se dovessi dirvi dove, puntando il dito su una carta geografica, proprio non saprei riuscirci. So solo che siamo sbucati in Italia presso una località chiamata Paluzza, attraverso un vecchio posto di frontiera che credo fosse sguarnito anche all’epoca benedetta in cui le frontiere di questo vecchio continente esistevano ancora.
Ma non è di questo che volevo parlare. Sono stato in Baviera, dicevo, e la Baviera per l’italiano in gita ha l’aspetto di un luogo di formale perfezione dove non esistono condomini, tutte le casette sono linde e pinte e ornate da splendidi fiori colorati, i prati non hanno nemmeno un filo di erba fuori posto e l’unico problema, a volerne proprio trovare uno, sono le mosche: ma d’altronde quei prati perfetti e i frutteti rigogliosi li devi pur concimare, dunque tutto torna. E fin qui potremmo dilungarci quanto ci pare sul senso dell’ecologia che permea i tedeschi, su questa loro ossessione di ordine e pulizia per la quale a volte noi italiani li prendiamo pure in giro, ma non è questo il punto. Il punto è che le nostre campagne, anche quelle più fertili, al confronto sono lugubri e tristi: si vede che dietro il nostro lavoro agricolo non c’è vero amore per la terra, altrimenti appena varcato il confine quella stessa terra di due chilometri prima, la terra di Paluzza per intenderci, non sarebbe trattata come una discarica a cielo aperto e non sarebbe coperta di orridi capannoni fin dove il guardo volge. In Italia, terra di meraviglie, viviamo letteralmente immersi nella bruttezza: ormai sono terrificanti anche le nostre città di arte e cultura, affogate nel traffico, rese insane dall’inquinamento, sfigurate da critici d’arte che si mettono a fare i sindaci e da sindaci che si mettono a fare i critici d’arte, abbrutite da cittadini con il sogno di far denaro a tutti i costi per poi dimostrarlo al mondo intero nel modo più pacchiano possibile. Non so perché, ma ho seri dubbi che la facoltosa donna bavarese vada a prendere il figlio a scuola con un Suv grande come un camion, inquinando dieci volte il dovuto e parcheggiando sulle striscie pedonali dove passano bambini e carrozzine.
Ma c’è dell’altro. Lungo la strada, ogni tanto, ci sono dei baracchini dove si vende frutta: e dove le fragole, per oscuri motivi che adesso mi sfuggono, sono dieci volte più buone di quelle che ci vende a caro prezzo il nostro fruttivendolo di fiducia sotto casa. Insomma, una volta ci siamo fermati, siamo scesi dalla vettura e a presidio del baracchino della frutta non abbiamo trovato nessuno. Siamo stati lì dieci minuti, forse, guardandoci intorno disorientati e suonando il clacson finché qualcuno di noi non si è accorto di un piccolo salvadanaio metallico con su scritto kasse. Tradotto in termini pratici, il viandante in Baviera si ferma, acquista la frutta, fa il conto di quanto ha speso e lascia i soldi nella cassa. Che è lì, incustodita: in luoghi a noi più familiari come minimo uno andrebbe via senza pagare, e nella peggiore delle ipotesi si porterebbe via anche la kasse.
Il che ci riporta ai nostri cugini tedeschi, alla loro ritrosia verso qualunque forma di solidarietà economica verso i paesi europei in crisi. Noi ce l’abbiamo a morte con i tedeschi perche la loro economia tira e la nostra invece sta tirando gli ultimi. A qualche aquila del giornalismo nostrano non è parso vero di poter sfruttare la vittoria nella semifinale degli europei per rispolverare antichi ardori nazionalistici: che non hanno senso perché il calcio è un gioco stupido e invece i tedeschi sulle cose serie fanno sul serio, guardate quanto poco ci hanno messo ad accollarsi i fratelli dell’Est, la loro economia sgangherata e a ripartire alla velocità della luce.
La differenza tra noi e loro sta proprio in quei prati ben pettinati, nelle casette bianche con i gerani rossi sui balconi: i quali, fuor di metafora, testimoniano un amore per la loro terra che è agli esatti antipodi della smania predatoria grazie alla quale, tanto per dire, noi italiani abbiamo avuto il coraggio di cementificare le coste più belle della Sardegna. Ma tutto questo è nulla rispetto a quella piccola kasse che attendeva senza arcigni custodi le monete dei viandanti. Un viandante che paga il dovuto quando potrebbe fottersene e tirare diritto non è un fesso: testimonia piuttosto un senso di appartenenza alla comunità che passa anche e soprattutto per il rispetto delle regole e per l’onestà individuale. Un cittadino tedesco che infila due euro nella kasse incostudita per un cestino di fragole, potete scommetterci, non cercherà di fottere a ogni costo il suo vicino di casa o il collega di lavoro; ed è probabile che paghi le tasse fino all’ultimo centesimo.
Per cui la prossima volta che vi verrà voglia di avercela con i tedeschi perché non sono disposti a concessioni economiche di sorta con il resto d’Europa, noi compresi e noi soprattutto, pensate a quello che vi ho raccontato sulla kasse incostudita. Pensate che noi, a loro differenza, siamo un popolo che storicamente con la cassa spesso e volentieri ci è fuggito, invece di pagare il dovuto; e che, potendo, continuerebbe a farlo.