In Radiologia, s’intende. Perché sono in tanti a scrivermi: dopo essersi fatti traviare dal sottoscritto nella scelta della specialità, spesso mi chiedono anche dove conviene spendere quei cinque fatidici anni.
Adesso, lo capite anche da soli, mi viene difficile fare nomi, cognomi e località anche se le idee ce le ho ben chiare; però posso fornire alcuni spunti critici di riflessione. Per esempio:
1) Diffidate di quei professori che, quando gli chiedete la tesi, rispondono che di tesi ne hanno già troppe da fare: in realtà non è vero. Primo, perché dare tesi è una parte direi fondamentale del loro mestiere; secondo, perché gli basta adoperare le tesi di quelli che si specializzano e il gioco è fatto. Insomma, meglio tenersene alla larga.
2) Diffidate di quei professori che vi dicono che non c’è posto per voi nella scuola il prossimo anno: in fin dei conti esiste un concorso pubblico, aperto a tutti, e non si sa mai come può andare a finire specie se avrete studiato sodo e avrete prodotto un compito della madonna. Certo che un esordio del genere non mette di buon umore, e lascia trasparire l’apoteosi dell’italianità universitaria. Se potete, tenetevi alla larga anche da un posto così.
3) Chiedete lumi ai vostri futuri colleghi che in specialità già ci sono, ma tenendo sempre a mente una legge fondamentale della giungla: il novantacinque per cento degli specializzandi sono frustrati perché buona parte della loro attività si è svolta per anni nel battere referti altrui al PC, subire angherie per esami fatti male di cui si e no conoscevano qualche rudimento di tecnica e a sentirsi dire, di una versione dello stesso argomento clinico-radiologico, che un giorno è giusta e il giorno dopo è sbagliata. L’altro cinque per cento non fa testo: sono i leccaculo dei capi, dunque vi daranno sempre e comunque informazioni false e tendenziose.
4) Informatevi preventivamente su quante lezioni vengono realmente svolte presso la scuola che state scegliendo, quanti esami sono effettuati dallo specializzando e se è lui a refertarli (il che presuppone che qualcun altro, a cui non è neanche degno di sciogliere i legacci dei sandali, dovrà controllarli. Il che a sua volta presuppone l’insegnamento di un metodo).
5) La scuola di specialità nel vostro mirino disloca gli specializzandi presso ospedali della zona? Può essere bene e può essere male. In genere è bene perché nelle scuole spesso si impara relativamente poco, e la frequenza ospedaliera può essere un’ancora di salvezza (anche perché magari un giorno vi potrebbero assumere, in quell’ospedale, specie se nel mentre vi sarete fatti apprezzare). Può essere però male se nella scuola si insegna sul serio la radiologia, e se gli ospedali della zona sono abitati da radiologi reticenti e poco preparati. In ogni caso è un salto nel vuoto, anche perché il fatto che un prof non mandi in giro gli specializzandi riproduce una gamma di grigi in cui l’estremità nera è quello che degli specializzandi se ne fotte, e per principio non li manda in giro a imparare quello che lui per primo non insegna, e l’estremità bianca è quello che all’insegnamento ci tiene talmente tanto da non volerlo delegare a nessuno di cui non abbia cieca fiducia. Io conosco di persona sia il bianco che il nero, dunque credetemi sulla parola.
6) Alla fine, la specialità è importante: specie se ti fornisce il metodo, e non una sfilza di informazioni più o meno specifiche su argomenti radiologici di varia natura. Il che vi espone a un rischio grosso: dover esordire nel mondo del lavoro, quando sarà il vostro momento, dovendo dimenticarvi quello che avete imparato (male) in cinque anni e dovendo ricostruirvi una professionalità (motivo per il quale, com’è noto, la formazione di un radiologo decente richiede almeno due anni di lavoro post-specialità). Speriamo almeno che quel giorno vi accolga un primario degno di questo nome: il mio amico Matteo, ci scommetto, sarebbe pessimista, ma a me invece è andata di lusso.
Buona fortuna.