Hank McCoy

di | 15 Settembre 2010

Perché non tutti i medici sono buoni. Buona lettura.

HANK McCOY

1.

Hank McCoy se ne sta seduto con i piedi sulla scrivania e una bottiglia in mano.

Una bottiglia di quello buono, avrebbe commentato suo zio Greg barcollando dopo l’ennesima sbornia, solo un attimo prima di precipitare a terra come una tonnellata di panni sporchi. Zio Greg aveva sempre qualcosa da festeggiare, e il suo modo di farlo era ubriacarsi fino a perdere i sensi.

Ma il dottor Hank McCoy non ha niente da festeggiare. Se ne sta lì, stravaccato sulla poltrona di pelle, le gambe appoggiate stancamente su un mucchio di micro-compact disc. La suola delle sue scarpe copre lo schermo del computer come la tenda di una finestra che guarda sul nulla.

Il trillo del videotelefono lo riporta alla realtà. Sullo schermo si materializza il volto di una donna anziana, segnata dalle rughe. McCoy, prima di rispondere, non fa neanche cenno di volersi ricomporre.

“Buonasera, dottor McCoy”, trilla la voce della vecchia. “La disturbo?”

“Ma le pare, signora Fox”, ghigna il medico.

“Ho chiamato per i soliti malesseri di pancia. Sa, dottore, quel gonfiore fastidioso che avverto quando mi metto a letto”.

McCoy sbuffa fra i denti, poi tira i piedi giù dalla scrivania e riacquista una posizione più decorosa.

“Signora, questa sera non sono io il medico reperibile. Avrebbe dovuto rivolgersi al dottor C-34”.

“Ma noooo, dottore, non mi dica così” replica la vecchia con una smorfia lacrimosa. Una smorfia talmente irritante che McCoy, se solo l’avesse a portata di mano, le spaccherebbe la faccia con la bottiglia di whisky.

“Lo sa che non mi fido di quegli ammassi di ferraglia” continua la signora Fox, imperterrita. “Parlano così poco e noi vecchi abbiamo bisogno di sfogarci, con il nostro medico”.

McCoy sospira. Poi, con molto autocontrollo interiore, estrae dal cappello un fatidico sorriso di circostanza, uno di quelli che vorrebbero esprimere professionalità e sicurezza ma che spesso suonano fasulli e sciocchi, assolutamente privi di credibilità.

“Il dottor C-34 è un buon medico, cara. Provi a fidarsi di lui”.

“Ma io ci ho provato! E’ che ogni volta mi guarda con quegli occhi strani, ecco, sembrano gli occhi di un rettile o di un pesce, insomma uno sguardo senza espressione. Non riesco mai a prendere le medicine che mi prescrive. Non mette nessun amore in quello che fa”.

“Lo credo bene, signora Fox. E’ un robot”.

“E’ questo il punto! Non dovrebbero permettergli di fare i medici! Forse costruire case ed autostrade, riparare aeromobili e nucleodomestici e che so io, ma curare gli uomini! Cosa vuole che gliene freghi della nostra salute?”

La conversazione sta prendendo una brutta piega, pensa McCoy mentre il mal di testa gli fa breccia giusto nel centro della fronte. Vorrebbe dirle che neanche a lui frega nulla del suo mal di pancia, che per quanto gli riguarda potrebbe schiattare seduta stante e davanti allo schermo del videotelefono, e lui si limiterebbe a danzare sui suoi resti come uno stregone d’altri tempi.

“Adesso devo lasciarla, ho dei pazienti che mi attendono” mente McCoy. “Faccia la solita micro-iniezione di Buscorex sul pollice e si metta a letto, al caldo. Vedrà che fra due ore starà meglio”.

“Oh, grazie” sorride la signora Fox sbattendo gli occhi glauchi e senza ciglia. “Vede cosa volevo dire? Lei si che sa trattare con le persone”.

McCoy ringhia un saluto incomprensibile e disconnette la linea. Perché quando è troppo è troppo, anche per uno come lui e anche per uno che se ne sta tranquillo, per i fatti suoi, ad organizzarsi la sbornia del secolo.

2.

Il dottor McCoy odia il suo lavoro.

Studiare medicina non gli è mai interessato più di tanto: si è limitato a tirare avanti attraverso gli anni di università senza strafare, portando a casa il minimo dei voti e un grosso debito di riconoscenza nei confronti del bisnonno, proprietario di una catena di cliniche private, che lo ha raccomandato più di una volta ai professori di Harvard: quelli di quando i robot non erano ancora ammessi alle facoltà universitarie più prestigiose.

L’impero sanitario appartiene ancora al bisnonno, Mark, 116 anni portati con la disinvoltura di chi non è mai stato sfiorato dal dubbio della propria mortalità. La sua statua, a grandezza naturale, troneggia nell’atrio della sede della City: ogni volta che Hank fa il suo ingresso nella cattedrale di marmi squadrati e di luci ad incremento progressivo, il suo desiderio più intimo sarebbe di abbattere a colpi di fucile al plasma l’immagine di quell’uomo enorme che neanche il tempo ha saputo piegare, dai tratti talmente decisi da sembrare sbozzati nella roccia viva. L’immagine di un uomo con le idee chiare e il carattere di granito, insomma, tutto il contrario di lui.

Però Hank ha avuto un sussulto di coraggio. Vent’anni prima, appena uscito dalla facoltà di Harvard, ha deciso di non seguire le orme paterne. Immortale o meno, non aveva voglia di spendere il resto dei suoi giorni alla causa del patrimonio di famiglia, sotto la guida asfissiante del bisnonno. Aveva già visto suo padre, e prima di lui il padre di suo padre, consumarsi come fiammiferi accesi in una notte di vento, incapaci di opporre resistenza alla testardaggine e alla vitalità del vecchio.

L’unica via di scampo? Aprire uno studio privato, ma i tempi non erano propizi ad un giovane medico che avesse l’intenzione di lavorare in proprio. Gli ospedali traboccavano di personale in eccesso e di medici a spasso ce n’erano fin troppi, da quando il Cardinal Act aveva permesso ai robot della classe C di accedere alle università.

Questa dei robot, ad Hank, non era mai scesa giù. La consapevolezza che i robot umanoidi di classe C fossero dotati di innesti cerebrali biologici, e quindi in un certo senso più umanizzati dei loro fratelli minori, non leniva la sua rabbia quando, agli esami o durante il tirocinio ospedaliero, uno di loro surclassava i colleghi umani. Gli sembrava un’ingiustizia colossale il dover competere con delle menti programmate per non commettere errori, la cui memoria non era innata né il risultato di un lungo lavoro di applicazione, ma un hard disk di dimensioni spropositate sistemato alla base del loro cervello. Né lo consolavano le reazioni razziste dei suoi compagni di studio, le spedizioni punitive notturne nelle ali del dormitorio destinate ai robot (ma i robot dormono di notte? Hank non lo aveva mai saputo) e i tentativi di rinchiuderli in un ghetto: la legge era dalla loro parte, aveva stabilito che i robot di classe C partivano alla pari degli umani sia sotto il profilo emotivo che intellettuale. Ma Hank non era d’accordo: era convinto che il vero atto di razzismo si fosse consumato nei confronti degli umani e che i robot, solidali tra loro come i membri di una antica tribù nomade della preistoria, fossero molto più dotati di loro.

D’altro canto, lo stesso problema si ripresentava anche in altre categorie lavorative. Sembrava che quei maledetti robot di classe C avessero una marcia in più; e che quella marcia in più non derivasse soltanto dalle loro caratteristiche progettuali, ma proprio da quella parte del sistema nervoso, frutto della clonazione di cellule cerebrali umane, che un progettista folle aveva deciso di donare loro.

3.

Ogni tanto Hank accendeva l’olovisore e si sorprendeva ad ascoltare notizie di medici robot che raggiungevano livelli dirigenziali di tutto rispetto; ma la sorpresa durava poco. Non c’era competizione con dei colleghi, chiamiamoli così, capaci di lavorare ventidue ore al giorno solo perché nelle altre due se ne stavano attaccati al generatore di energia per la ricarica quotidiana.

Così, Hank McCoy si era ridotto a fare il medico nei sobborghi della Città, alla periferia dell’Impero, ai margini del nulla. I suoi clienti erano gli ubriaconi del posto, prostitute malmenate da clienti sadici o da magnaccia nervosi, giovani con le svastiche tatuate sul cranio e il cranio spesso sfondato in risse stradali. Clienti da poco che si rivolgevano a lui perché i medici robot, programmati fin dall’origine con un innato senso del dovere e del rispetto delle regole, rifiutavano di assistere i pazienti che non fossero in perfetta regola con la legge e con le assicurazioni sanitarie.

La strada dei medici umani era definitivamente segnata, o almeno così pareva a lui. Per quanto gli riguardava, forse non sarebbe nemmeno riuscito a guadagnarsi una pensione rispettabile perché la maggior parte dei suoi clienti non era registrata all’anagrafe e quindi per l’amministrazione statale neanche esisteva.

Un medico che non fattura è un medico che non lavora e quindi, a termini di legge, non ha diritto al vitalizio senile.

4.

E rieccoci quindi in compagnia di un Hank McCoy con la bottiglia in mano, a caccia di idee luminose: sebbene sia da sottolineare il dato che lui non ce l’abbia particolarmente a morte con i suoi colleghi robot (anche se il dottor McCoy ha una età senz’altro rispettabile, guardava già gli ologiornali della sera ai tempi in cui gli operai delle industrie meccaniche di metà pianeta furono licenziati in tronco e sostituiti da squadre di economici e funzionali operai robot; ricorda perfettamente, con gli occhi stralunati di quando era bambino, le scene di disperazione degli operai licenziati che si davano fuoco nelle piazze della Capitale o si lanciavano dai tetti dei grattacieli con in braccio i figli piccoli). E’ piuttosto afflitto da una specie di torpido fatalismo: sa benissimo che il futuro non appartiene più agli umani, che l’evoluzione della vita sulla Terra sta vivendo una ennesima fase di trapasso come quando i dinosauri si estinsero ed i mammiferi no, e il mondo diventò colonia esclusiva di questi ultimi. Eppure a volte sente il bisogno non tanto di opporsi alla selezione naturale che vedrà presto i robot unici padroni del pianeta, né tantomeno di combattere la stupidità dei dirigenti politici (ancora tutti umani, ma chissà per quanto) che non si accorgono del baratro in cui stanno conducendo la loro gente: la sola cosa che a volte desidera è di mettere il suo piccolo bastone fra le ruote del sistema impazzito, scardinare l’oliato meccanismo della silenziosa rivoluzione dei robot. Senza pretese di successo, per carità, ma per il gusto puro e semplice di farlo. Di trovare il modo.

Di. Avere. Una. Fottuta. Illuminazione.

E così Hank McCoy ha un’illuminazione.

Modesta, ne conveniamo, ma è già qualcosa.

5.

Sera avanzata.

Hank McCoy attende pazientemente, seminascosto dietro la fermata dell’aerobus. In tasca stringe qualcosa, la sua mano si apre e si chiude ad intervalli regolari. Fuori è freddo e buio; e lui non è più abituato a starsene all’addiaccio.

Colpa dell’effetto serra, pensa. Non esistono più le mezze stagioni, o fa un freddo cane o si crepa dal caldo.

All’improvviso, il silenzio viene rotto da un flebile rumore di passi sull’asfalto: è la signora Fox che cammina verso casa, dopo una serata passata al Club del Bridge con le amiche. Il Club dista non più di un isolato dalla sua casa, ma alla vecchia signora quei quattro passi sembrano un’eternità. La protesi d’anca al titanio tiene bene, ma ormai camminare non fa per lei: a centodue anni sarà anche il caso di accettare qualche acciacco fisico con la dovuta rassegnazione.

McCoy la vede arrivare e reprime un moto di fastidio: per tutte le volte che lo ha disturbato in piena notte per malesseri risibili; per il modo al tempo stesso mieloso e sguaiato con cui lo saluta per strada; perché il pensiero del Club popolato da animose vecchiarde dai denti finti gli fa rivoltare lo stomaco. Le va incontro a due passi dalla porta di casa, dopo essersi assicurato che nessuno possa vederli. Le finestre, come al solito, sono sprangate; le strade, deserte.

La signora Fox all’inizio ha un sussulto di ansia, poi riconosce la camminata asimmetrica del medico e si tranquillizza.

“Che paura mi ha messo, dottor McCoy! Questo non è un periodo tranquillo per vecchie signore che se ne vanno in giro da sole, vero? Ma cosa vuole, ormai sono anni che di sera vado al Club e non ho intenzione di rinunciarci proprio adesso”.

Grave errore, riflette McCoy, producendosi in un insolito sorriso da squalo.

“Ha bisogno di qualcosa?” continua la vecchia, soddisfatta che la sua serata abbia trovato un diversivo inaspettato.

“No, signora Fox. Passavo di qua e mi sono chiesto se non fosse piuttosto lei ad avere bisogno del suo medico. Come va il mal di pancia?”

La vecchia è felicemente incredula. Si è sempre fidata della professionalità del dottor McCoy; ma il suo caratteraccio le ha sempre impedito di raggiungere quella maggiore confidenza a cui ogni vecchia paziente, dal suo punto di vista, ha pieno diritto.

“Bene, bene, dopo l’ultima micro-iniezione non ho più avuto problemi”.

I due si fissano, la signora Fox decide di osare.

“Vuole entrare a prendere qualcosa di caldo, caro? L’aria stasera è così fredda da ghiacciare persino i pensieri” propone la vecchia.

Non sai quanto hai ragione, signora Fox, pensa McCoy mentre le cede il passo, producendosi di nuovo in quel suo largo ed inquietante sorriso da squalo.

6.

L’interno della casa, se possibile, è ancora più raccapricciante di come se lo aspettava McCoy. L’odore di stantio e di antico ormai fuoriesce dalle crepe dei muri e dai mobili cromati stile inizio millennio, dei veri pezzi di antiquariato. La signora Fox, incredibile, ha ancora un vecchio televisore flat da sessantacinque pollici: le occupa mezza parete del soggiorno, roba da antiquari. Si chiede a cosa le serva un televisore e se la vecchia lo guardi mai: ormai i canali televisivi sono stati quasi tutti oscurati, le case da anni sono invase dai moderni sistemi di olovisione tridimensionale.

La vecchia gli indica il divano e McCoy si siede. Bevono uno scandaloso brandy sintetico e parlano del più e del meno, o per meglio dire del più e del meno riguardante la salute della vecchia; ad un certo punto la voce di McCoy si fa preoccupata.

“Sa, signora Fox, ieri stavo studiando la sua cartella clinica”.

La vecchia si allarma. “Cosa ha trovato? Sono molto malata?”

Il medico scuote la testa, sembra dubbioso ed affranto.

“Credo di si, signora Fox. I suoi esami del sangue mi sono arrivati mezz’ora fa per posta elettronica e hanno dimostrato una grave ed inspiegabile anemia. Bisogna trovare in fretta la causa del suo problema”.

La signora Fox è sull’orlo di una crisi di nervi: le labbra le tremano, stringe i pugni con tanta forza che le si sbiancano le nocche.

“Quanto grave, dottore? La prego, mi dica tutto quello che devo sapere”.

“E’ una situazione disperata, signora. Sono passato stasera perché non c’è tempo da perdere. Le occorrono farmaci, forse sangue fresco da trasfonderle. Bisogna che lei chiami subito il medico reperibile con le medicine, io aspetterò il suo arrivo e gli mostrerò gli esami. Poi cominceremo la cura”.

La signora Fox stenta a credere alle sue orecchie. La serata stava andando così bene: al Circolo aveva vinto tre partite su tre, poi la visita inaspettata di quel caro medico; e all’improvviso la notizia che è sul punto di morire, a soli centodue anni.

Il destino si è proprio accanito contro di me, pensa. Prima mio marito John, con il suo infarto ad appena novantacinque anni, e adesso io.

Ma non perde tempo: accende il videotelefono e chiama il medico reperibile. Hank McCoy sa già chi è.

“Non gli dica ancora che sono qui” precisa al volo. “Potrebbe non comprendere la gravità della situazione e decidere di non venire, visto che c’è già un suo collega qui con lei”.

La signora Fox annuisce proprio mentre sullo schermo compare il volto metallico del dottor C-34.

C-34 è un medico molto scrupoloso. Nonostante la signora Fox non sia una sua assistita, il robot l’ascolta con glaciale pazienza. McCoy lo osserva al di fuori del campo visivo del videotelefono; la chiamata lo ha sorpreso con la spina ancora attaccata al generatore di corrente, una specie di disgustoso cordone ombelicale a fibre ottiche, proprio come sperava McCoy. C-34 cerca di acquisire tutte le informazioni possibili con la massima efficienza di cui è capace: probabilmente neanche lui ha voglia di uscire con il freddo di quella notte, le giunture di un robot sono più resistenti di quelle umane ma i microchip cerebrali reagiscono piuttosto male alle temperature rigide. Poi, evidentemente, decide di accettare la chiamata e comunica alla vecchia che sarà da lei in quindici minuti. Forse lo preoccupa di più lo stato nervoso della paziente, piuttosto che i dati imprecisi e scorretti che la vecchia gli sta snocciolando, quasi in preda a un attacco isterico.

La signora Fox sconnette il videotelefono e si gira con le lacrime agli occhi verso il suo caro, caro medico. Ma non fa neanche in tempo a mettere a fuoco il dottor McCoy. Una vecchia chiave inglese stretta da mani guantate, antico cimelio di famiglia, cala sua fronte. Spappolandogliela.

7.

Il piano sembra perfetto.

Il dottor McCoy contempla due minuti il lago di sangue in cui giace la vecchia, poi attiva l’allarme informatico che mette in comunicazione il computer domestico con la stazione di polizia più vicina.

Le forze dell’ordine arriveranno in poco più di un quarto d’ora, giusto in tempo per sorprendere C-34 davanti al cadavere, magari con l’arma del delitto in mano.

C-34 non è un chirurgo e neanche un anatomo-patologo: è uno specialista in malattie dell’apparato respiratorio e non è avvezzo alla vista del sangue. Il cadavere inatteso della vecchia sovraccaricherà i suoi circuiti quel tanto che basta perché i poliziotti lo trovino lì, sul luogo del delitto.

C-34 è un medico scrupoloso; ma è un robot, non è particolarmente sveglio e probabilmente le sue batterie a quest’ora sono ancora mezze scariche.

8.

Si scopre che McCoy è stato quasi preveggente: il suo piano ha il successo sperato.

Le forze dell’ordine fanno irruzione nella casa della signora Fox esattamente un minuto e mezzo dopo l’ingresso del dottor C-34. Trovano il robot in fase di stallo, mentre cerca di far collimare il dato “videotelefonata della signora Fox” con il cadavere sfigurato che si ritrova davanti. C-34 non ha in mano l’arma del delitto ma le sue dita sono macchiate del sangue della vittima: logico, a pensare che un medico si accerta della morte di un paziente tastandogli il polso carotideo, alla base del collo. Meno logico, però, per un gruppo di furiosi poliziotti: persone comuni, che hanno visto tanti loro colleghi rimpiazzati dai robot. E che temono di fare la stessa fine.

“Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo” ringhia uno di loro guardando la moquette intrisa di sangue e la chiave inglese imbrattata di grumi cerebrali, prima di mandare in corto circuito il dottor C-34 con lo storditore elettronico e portarlo via di peso, verso il carcere.

9.

L’opinione pubblica è sconvolta dall’accaduto.

Ologiornali e Internet non parlano d’altro: sembra che di punto in bianco tutti si siano svegliati da un lungo sonno popolato di incubi, solo che la realtà sembra essere persino peggiore della fantasia.

I robot sono oggetto di feroci rappresaglie, spedizioni punitive e crudeltà di ogni tipo sui posti di lavoro. I pazienti non vogliono essere più curati dai medici robot, gli operai nelle fabbriche rifiutano di lavorare gomito a gomito con i loro colleghi cibernetici, i commercianti umani rifiutano di vendere la loro merce ai robot e i commercianti robot non trovano più clienti.

I governi di tutto il mondo si trovano schiacciati fra la rabbia e la paura dell’opinione pubblica, da una parte, e lo smisurato potere economico delle multinazionali dall’altra, che sull’industria dei robot hanno fondato le loro fortune.

La situazione precipita ulteriormente quando i delitti perpetrati dai medici robot si moltiplicano: Loretta Anderson, soffocata nel sonno con il proprio cuscino; Andrew Cuomo, fulminato da un’iniezione letale di atropina per una banale colica renale; Goldie Lexmark, trovata seduta sulla sua poltrona con la gola squarciata da un bisturi.

Imprevedibilmente in accordo tra loro, i parlamentari dell’estrema destra e quelli dell’estrema sinistra propongono un rivoluzionario progetto di legge che prevede la distruzione dei robot e la riconversione delle fabbriche in cui vengono realizzati. Gli uni oltremodo preoccupati della sicurezza dei cittadini, gli altri oltremodo convinti che si tratti della strada giusta per l’affermazione dei diritti degli operai.

Quelli umani.

10.

Dal “Night Carrier” del 6 marzo

Prima pagina

Il vero Dottor Morte non è un robot

Un medico pronipote di Mark McCoy responsabile dei quattro omicidi

Colpo di scena nella vicenda dei quattro efferati omicidi che vedevano come principali imputati i medici robot sorpresi sul luogo del delitto dalle forze di polizia: alla luce dei nuovi e sconvolgenti sviluppi del caso, i robot sembrerebbero innocenti.

Il vero assassino è un medico, umano, che vive ed esercita la sua professione nel quartiere Toronto, lo stesso in cui si sono consumati i crimini. Il dottor Hank McCoy, pronipote del più famoso Mark McCoy, titolare della omonima catena di cliniche private, si è costituito la scorsa notte al Commissariato della Liberty House, fornendo agli inquirenti prove inconfutabili circa la sua responsabilità negli avvenimenti in questione.

Dal Commissariato non sono trapelate indiscrezioni. Il solo Capo della Polizia, in una improvvisata quanto rapida conferenza stampa tenuta questa mattina davanti al suo ufficio, ha accennato al probabile movente del dottor McCoy:  il medico avrebbe agito sotto l’influsso potenti farmaci neurolettici, spinto all’insano gesto dall’esasperante situazione di competitività che i medici umani, dopo l’emissione del Cardinal Act e l’avvento dei medici robot, si sono trovati a fronteggiare.

McCoy è stato internato, in isolamento, nel carcere di massima sicurezza del quartiere Boston, dove attenderà di essere sottoposto a giudizio. I familiari delle vittime si sono costituiti parte civile, così come l’Ordine dei Medici della City e l’RMS, il Sindacato dei medici robot.

I quattro medici robot, i dottori C-34, C-211, C-3 e C-17, saranno rimessi in libertà appena espletate le formalità del caso e completamente riabilitati. Il dottor C-34 ha rilasciato ai giornalisti la seguente dichiarazione: “I medici robot sono dei professionisti seri e rispettabili, il loro operato non può essere messo in discussione da complotti umani”.

Dal “Night Carrier” del 21 marzo

Terza pagina

Il Sindacato dei Medici Robot indice uno sciopero

“Nel rispetto dei nostri diritti”, spiega il Presidente dell’RMS

L’RMS, il Sindacato dei Medici Robot, ha indetto nella giornata di ieri il primo sciopero della sua sia pur breve esistenza. Il dottor C-2, suo fondatore e presidente, ha definito la decisione di astenersi dal lavoro come una risposta alle forti tensioni cui gli iscritti al sindacato sono stati sottoposti nell’ultimo periodo, durante lo sviluppo del caso McCoy.

L’RMS chiede ufficialmente una maggior tutela lavorativa e personale dei medici robot, nonché il riconoscimento ufficiale del lavoro da essi svolto quotidianamente a vantaggio della salute dei contribuenti. “Se i medici robot smettessero in blocco di lavorare” ha affermato con sicurezza C-2 “il servizio sanitario collasserebbe in pochi giorni”.

Il governo cittadino ha già preso in considerazione le istanze dell’RMS. L’assessore alla sanità ha già parlato in via informale della possibilità di dotare i medici robot di telecamere intraoculari ad ampio spettro di frequenza, allo scopo di poter documentare anche di notte i propri atti medici, e di rinforzare la struttura esoscheletrica dei robot di classe C.

In Parlamento, l’estrema destra e l’estrema sinistra sono imprevedibilmente schierate insieme nell’opposizione a questa proposta: l’estrema destra considerandola lesiva della privacy dei cittadini e dell’ordine pubblico, in quanto la tutela della sicurezza dei robot verrebbe ad avere la priorità su quella umana; l’estrema sinistra perché sfumerebbe la possibilità della definitiva eliminazione dei robot dal mercato lavorativo, dove gli operai umani vedono i propri spazi restringersi giorno dopo giorno.

Dal “Night Carrier” del 17 maggio

Sedicesima pagina

Condannato alla pena capitale il Dottor Morte

L’esecuzione della sentenza il prossimo 25 maggio

Hank McCoy, il famigerato Dottor Morte, è stato condannato a morte dal Tribunale della Contea di Boston dopo un dibattimento durato quindici giorni. La giuria, che è stata presieduta dal Giudice C-111 e che annoverava tra i suoi membri tre robot di classe C, si è espressa con parere non unanime sulla pena capitale da infliggere all’imputato.

La condanna a morte mediante sedia elettrica sarà resa esecutiva il prossimo 25 maggio, alla presenza di una nutrita delegazione dell’RMS.

Esecutore materiale della sentenza capitale sarà un esponente delle Guardie Penitenziarie del quartiere di Boston, il signor C-97.

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