C’è una costante, nella vita di ognuno di noi: la nostra faccia.
La nostra faccia con il suo corredo di colore di capelli, destinato a cambiare con gli anni, e di colore degli occhi, che invece rimarrà uguale ma sarà gradualmente mascherato dalle palpebre cascanti. La nostra faccia cesellata dalle rughe prima di espressione e poi di invecchiamento, ognuna di esse figlia di un pensiero fisso, di una preoccupazione, di un dramma personale più o meno enorme. La nostra faccia, con il naso e le orecchie che non smettono mai di crescere e le labbra che invece si assottigliano, un poco per volta, perché le sofferenze e le delusioni è proprio di quello che si nutrono: del sorriso.
Qualcuno ha quasi da sempre una faccia da vecchio: per esempio quei compagni di scuola delle elementari che non riconosceresti mai se qualcuno non te li indicasse a dito o loro non venissero a salutarti, quelli che hanno avuto un viso da bambino lo stretto indispensabile per potersi definire tali e poi sono cresciuti in fretta, trascinati dai cambiamenti del volto e delle loro esistenze di quieta disperazione.
Qualcun altro, al contrario, invecchiando mantiene alcuni dei tratti del bambino che è stato: gli occhi grandi, lo sguardo impertinente, la postura beffarda. Loro è facile immaginarseli in braghe corte, con tutti i capelli ancora in testa, mentre corrono in strade polverose e riarse dal sole estivo di qualche decennio prima.
L’unica maledizione ineluttabile, per ciascuno di noi, è dover convivere per tutta la vita con quella faccia. Guardarla riflessa dallo specchio del bagno ogni mattina, appena svegli, e ogni sera, prima di soffocare nel sonno i brutti pensieri della giornata. Perché puoi mentire a tutti, sempre, anche a te stesso, e illuderti di riuscirci: ma alla tua faccia riflessa nello specchio no, non ti è concesso.
Solo di spegnere la luce, in quella circostanza, ti è concesso.
Sapendo che quel gesto non sarà sufficiente a cambiare la realtà dei fatti, e a nascondere la verità dietro l’ennesima menzogna.