Di ritorno, dopo la solita toccata e fuga.
Dopo un viaggio di andata su un treno veloce, ma così traballante che sembrava di stare su una nave in mezzo alla tempesta: al punto che avrei preferito un treno più lento, e di parecchio, ma nel quale però fosse possibile prendere due appunti sulla mia adorata moleskina. Dopo una Roma dalla solita bellezza straziante, in giro per strade del centro con la sensazione costante addosso che mancasse qualcosa a rendere perfetto il mio soggiorno. Dopo una cena in un buon ristorante, preso bonariamente in giro dai colleghi relatori per la mia scelta di eliminare la carne dalla dieta e accanto a una collega esilarante con la quale ho riso di gusto tutta la sera, per buona grazia del Signore degli Eserciti. Dopo un bel congresso, bello davvero, insieme ai miei colleghi della Sezione Toracica: uno più bravo dell’altro, che ti chiedi cosa mai potrebbe diventare un reparto di Radiologia in cui potessero lavorare tutti insieme. Dopo aver conosciuto un paio di specializzandi che il Signore degli Eserciti li benedica, per quanto gli brillavano gli occhi dall’entusiasmo per la Radiologia. Uno di loro mi ha detto di essersi appassionato all’Rx addome diretto: per la miseria, continuerò sempre più imperterrito in questa folle opera di recupero di un patrimonio radiologico inestimabile che rischia di andare irrimediabilmente perduto. Ma voi statemi vicini, per favore, che a volte il peso di questa responsabilità mi disorienta un tantinello.
E poi di ritorno, su un altro treno traballante, con i postumi di un emicrania mattutina che mi ha gettato nel panico perché alle quattro di mattina mi sono accorto di aver lasciato a casa la mia scatolina tascabile da tossicodipendente di triptani. La collega simpatica, giù alla hall, mi ha subito proposto un okifast: non mi sono messo a ridere sguaiatamente sia perché mi sembrava sgarbato verso cotanta gentilezza sia perché mi si sarebbe incrinato il cranio, da quanto male avevo. Il guaio è che quando mi arriva l’attacco serio, e tutti i miei attacchi purtroppo sono seri, con l’okifast mi ci sciacquo non vi dico cosa; ma non è che tutti siano tenuti a saperlo, per carità. Allora l’unica speranza è stata riposta nella farmacia d’angolo, ma ho scoperto che dal portafoglio era misteriosamente scomparso il mio tesserino dell’ordine dei medici: motivo per il quale, come diceva sempre mio nonno, bisogna riflettere molto approfonditamente su chi vi metterete in casa il giorno più felice della vostra vita. Per fortuna la farmacista era una nonnina di novanta anni (giuro, non sto scherzando): quando l’ho vista in precario equilibrio su una scaletta portatile, attaccata allo scaffale dei farmaci, avrei voluto dirle di venir giù, che così ci si rompe un femore e poi sono guai. E lei infatti è venuta giù: io mi sono prodotto nei migliori occhi dolci di cui al momento sono capace, cioè ben poca roba, spergiurando di essere un medico che aveva dimenticato a casa il suo tesserino e impetrando una confezione di triptano. Lei ci è cascata, non so se per gli occhi dolci o per il completo con cravatta bene abbinata, e mi ha smollato il farmaco dopo aver sbagliato tre volte il nome e due volte il dosaggio. Che il Signore degli Eserciti, sempre Lui, abbia in sempiterna gloria questi vecchietti che non si arrendono alla vita che passa.
Adesso caracollo a quasi 300 km/h in direzione Firenze, mi viene da vomitare e vorrei già essere a casa. A casa, quella vera.