Domani è un altro giorno.
A quarantatré anni, nel pieno delle mie forze e dopo quasi diciassette anni di radiologia, sarei stufo di sentirmi dire che sono ancora troppo giovane. Perché, per prima cosa: io non sono giovane. Negli altri paesi europei, nel resto del mondo, un quarantenne diventa leader di una nazione; in Italia a sessant’anni sei ancora una promessa, il delfino di qualcun altro (in genere un nonnino incontinente di ottanta anni). Tutti si preoccupano che il quarantenne subisca le pressioni di chi ha dieci o vent’anni più di lui: mai che a qualcuno venga in mente che nel mondo più spesso capita il contrario, e che questa è quasi sempre una legge di natura.
E poi è adesso che ho l’energia, l’entusiasmo, la forza di ribaltare il mondo. Fra dieci anni sarò bollito, pronto per la rottamazione. Buono a lasciare le cose come stanno, al massimo.
Così, vado a letto dopo aver preso un’aspirina. Non servirà a lenire i miei dolori di quarantenne, ma il mal di testa almeno si.