Maurizio, specializzando in radiologia, ha un dubbio atroce: è arrivato al terzo anno e ancora non ha trovato una strada che lo rassicuri circa il futuro. Oppure, per dirlo in altri termini, dopo aver letto la mia Guida e scoperto che collo e torace sono i campi di cui mi occupo maggiormente, si è reso conto che lui non ha ancora un campo di interesse preponderante e la cosa lo preoccupa. Da cui la sua domanda: quando hai scoperto di avere passione per quei due argomenti? Eri in specialità o già lavoravi?
Il discorso è complesso, e per farlo devo tornare indietro di qualche anno. Specialmente per quanto riguarda il torace, che fin dai tempi dell’università per motivi non chiari mi entusiasmava molto più che, per dire, l’intricato sistema dei vasi sanguigni. Ricordo che durante l’esame di fisiologia il maggior divertimento fu studiare il trattato di fisiologia respiratoria del West: ma non saprei spiegarvene i motivi, anche perché forse sono analoghi a quelli per cui vi piacciono più le bionde che le more o più le Ford delle Fiat. In specialità fui fortunato perché nella mia Scuola c’erano strutturati assai abili in questo campo: e io, che non perdevo occasione per rompere le scatole, cercavo dappertutto le occasioni propizie per stressare al massimo i concetti basilari sull’argomento. Ma il colpo di fulmine fu al congresso ESTI del 1996: quando assistetti alla gara di noti radiologi toracici europei, chiamati a misurarsi su diagnosi complesse di fronte a pochi dati clinici e qualche scansione TC, beh, fu lì che mi innamorai definitivamente del torace. Il bello è stato che con l’andare degli anni, e la crescita culturale, le imprese dei radiologi in gara all’ESTI nel mio immaginario sono diventate meno titaniche di quanto mi sembrarono da specializzando del secondo anno: un buon radiologo, dotato di accettabile cultura clinica e di molto buon senso, può aspirare alle stesse diagnosi rapide di quei mostri sacri dell’epoca.
Diverso fu il discorso per quanto concerne il collo, che nella mia Scuola era argomento praticamente vietato: lì l’occasione me la fornirono l’ospedale in cui cominciai a lavorare, dove operava un chirurgo ORL che era all’avanguardia europea del campo, e il primario di radiologia che mi accolse implume specialista (il quale ebbe voglia, tempo e molta pazienza per spiegarmi una parte della radiologia che assolutamente non conoscevo). Poi, è chiaro, è stata anche questione di fortuna: quella di trasferirmi in un ospedale con un altro chirurgo ORL molto valido, per esempio (anche perché un radiologo cresce abbastanza poco senza un clinico che lo sproni perché gli serve quel qualcosa in più che un livello medio di competenza radiologica non riesce a garantirgli). O quella di seguire la traccia culturale giusta in mezzo alla selva di corsi e congressi che talora sono tenuti da professionisti di livello non eccelso, e di non mollarla mai.
Insomma, nessuno di noi può sapere in anticipo dove lo porterà la sua carriera professionale. Tanto dipende dalle nostre inspiegabili passioni ma tanto anche dalle occasioni che ti porge il destino (o il caso, fate voi). E tanto ancora dipende soprattutto da noi: da che tipo di radiologo vogliamo diventare e quanta cura abbiamo voglia di mettere nel nostro lavoro. Ma questo è un altro discorso, e l’abbiamo già fatto troppe volte.