Ho organizzato un congresso.
Sono pronto, carico. È un congresso al quale tengo molto: ho preparato con cura il programma, scelto e invitato gli oratori tra cui il Professore, cioè il più grosso nome italiano del settore, stabilite le portate del buffet.
La sala è gremita all’inverosimile: ci saranno duecento persone sedute, altre in piedi, e tutte attendono l’inizio dei lavori. Raccolgo sorrisi dai presenti, complimenti sbracati dagli informatori convenuti. Pure il mio primario è contento, e il direttore sanitario apre le danze con un discorso breve e illuminato.
Da quel momento, senza alcun motivo, va tutto a rotoli. I relatori sono in ritardo, quelli arrivati si producono in relazioni pietose. Parlo anche io, ed è un disastro: balbetto, non trovo il bandolo del discorso e persino il Professore infierisce con domande spietate a cui, davanti a tutti, non so dare risposta.
Poi, per continuare in bellezza, il buffet non è pronto, tutti gli orari saltano, la segreteria organizzativa è nel panico e io pure. Gli astanti rumoreggiano. La situazione mi è sfuggita di mano completamente e non so come riprenderla.
A questo punto, per fortuna, mi sveglio. Apro gli occhi, faccio calmare la tachicardia, ripenso per un attimo alla sensazione di panico dell’incubo appena finito. Sono le sette meno un quarto, devo alzarmi e andare al lavoro.
Certe volte vorrei poter sognare l’esame di maturità, come fanno tutti.