Ieri notte non ci potevo credere. Ero di guardia in pronto soccorso: dalle otto a mezzanotte avrò fatto quattro o cinque ecografie a persone di tutte le età e ceti sociali, qualcuno grave e qualcun altro con problemi fittizi e più che altro mutuati dal clinico che li aveva accolti dopo il triage. E tutti, dico, tutti, hanno avuto qualcosa da ridire sul fatto che avevano atteso troppo tempo prima di essere visitati, o non erano stati trattati da qualche operatore con la dovuta cortesia, o non avevano trovato subito e in modo facile la radiologia del PS, o semplicemente stavano così male mentre su Rai 1 venivano sperperati tutti quei soldi per un inutile baraccone come Sanremo.
Sono sincero: al terzo paziente ho cominciato a credere che si trattasse di uno scherzo, che i miei colleghi burloni del PS avessero chiesto ai pazienti di dirmi tutti la stessa cosa per farsi due risate alle mie spalle. Anche se proprio non me la vedevo Angela, la collega che mi ha telefonato per prima con la voce triste di chi ha la sala d’attesa piena come un uovo, a escogitare improbabili scherzi serali sul tema canoro che in queste sere ammorba le nostre esistenze televisive.
E allora mi sono chiesto cosa diavolo stesse succedendo, il perché di questo rancore sordo verso il circo sanremese. Ci ho pensato un po’ e alla fine una possibile spiegazione mi è venuta in mente: il tono delle critiche dei miei pazienti verso Sanremo, tutti quei soldi spesi per nulla in un momento in cui in molti tiriamo la cinghia e centinaia di migliaia di lavoratori finiscono in mezzo alla strada, somigliava tanto al tono che hanno le critiche della gente comune alla classe politica in generale.
Perché Sanremo e i nostri politicanti di professione hanno questo in comune: sono completamente scollegati dalla vita reale, costituiscono ormai entità autonome e dotate di vita e regole proprie che prescindono dalla loro funzione primaria (amministrare rettamente, nel caso dei politici; svagare il popolino, nel caso di Sanremo). Al punto che un manipolo di cosiddetti tecnici, ossia di non politici dotati di expertise, a prescindere dalle loro finalità politiche ed economiche certamente non virtuose, in due mesi hanno dimostrato all’intero paese che l’intera classe dirigente politica, in blocco, non ha più alcun motivo di esistere ma è solo fonte di dissipazione di ricchezza, senza portare in dote nessun elemento positivo per la collettività.
Per cui l’elettore medio, che è anche l’utente televisivo serale medio, alla fine prova la stessa qualità di fastidio sia quando vede intervistare con domande concordate Bersani o Alfano che quando Celentano furoreggia per due ore sullo sfondo di improbabili scenari post-bellici: perché in entrambi i casi chi pontifica è altrove, non è (più) parte del tessuto sociale, i concetti che esprime non hanno altro effetto sulla pubblica opinione oltre a generare puro e semplice fastidio, esasperazione, incredulità di fronte alle parole fuori contesto che vengono sprecate di fronte alle telecamere.
E lì ho capito che Sanremo non è stato ancora cancellato dai palinsesti televisivi perché, pur non essendo (più) intrattenimento, rimane una indispensabile e plateale manifestazione del potere infame che governa le nostre piccole e misere esistenze. Le canzoni sono solo la scusa banale per tenere in piedi un monumento faraonico che il potere ha eretto a sé stesso: un luogo virtuale dove conta solo esserci, mettersi in mostra, spendere milioni di euro affinché la nota rockstar imbolsita possa godersi una finta standing ovation di fronte a direttori, vicedirettori, attricette, nani, ballerine, frombolieri e chi più ne ha più ne metta.
Sanremo è ormai un luogo talmente colluso al potere virtuale che sul quel palco è concesso di tutto: il turpiloquio, la boutade becera, la finta protesta sociale, il richiamo agli alti valori morali. Tanto nessuno se ne fotte nulla: chi mette in opera lo spettacolo, chi presiede e chi lo guarda da casa. Al punto che tra l’ignorante che insulta e il deficiente che si becca l’insulto non c’è più nessuna differenza. Entrambi esistono solo nella realtà virtuale di Sanremo, fuori da essa né l’uno né l’altro avrebbero motivo di esistere: l’uno, l’ignorante, non avrebbe una platea da centocinquantamila euro all’ora; e l’altro, il deficiente, non avrebbe più materiale per il suo mestiere, che poi è uguale a quello del demolitore professionale se non fosse che chi demolisce una casa almeno si sporca le mani di polvere e la tuta di sudore.
Così uguali tra loro, l’ignorante e il deficiente, che il deficiente può incamerare gli insulti senza nemmeno adombrarsi. In un gesto di sobrietà estrema: laddove l’unica sobrietà possibile, nell’Italia ai tempi della crisi, sarebbe starsene zitti mentre ti prende quell’impulso irrefrenabile di afferrare il martello e disintegrare lo schermo della televisione.