“Basta competizione tra regioni, il modello Italia deve competere con l’Europa”.
“Ulteriori riduzioni di risorse alla sanità non appaiono compatibili”.
Beatrice Lorenzin (fonte: quotidianosanità.it)
Si, mi rendo conto che prendersela con il ministro Lorenzin è fin troppo facile: non può esibire un corso di studi completo, un curriculum vitae decente, non ha competenze specifiche in ambito sanitario, le sue affermazioni programmatiche iniziali sono quantomai generiche; e poi, che diamine, ha solo 41 anni e fa il ministro della salute mentre altrove c’è gente che alla sua età si è sentita dire, candidamente: Lei è troppo giovane per fare il primario di un reparto ospedaliero.
Mi rendo conto che è inutile prendersela con lei anche per un altro motivo. I due geniacci che l’hanno preceduta al ministero, in ordine cronologico, erano addetti ai lavori che più di così non si poteva: eppure guardate che fine avevano fatto, ragazzi di bottega ligi agli ordini del padrone; al punto che uno dei due, almeno all’inizio, per la prima volta si era pure trovato senza il ministero.
Mi rendo conto che la situazione è quella che è, che le Regioni negli ultimi tempi sono come impazzite: ognuna persegue un modello differente dalle altre e lo magnifica come se fosse l’unico modello possibile o comunque il migliore in senso assoluto. Non so come sia la situazione in altri settori nevralgici del Paese, per esempio quello militare o scolastico, ma so per certo che in Italia esistono 20 sistemi sanitari differenti, uno per regione, tutti molto autoreferenziali, nessuno dei quali tiene in gran conto il parere di chi negli ospedali ci lavora e tutti, nessuno escluso, succubi di una politica schizofrenica che tiene più al proprio culo che alle sorti del territorio.
Mi rendo conto anche che la Lorenzin avrà le sue belle gatte da pelare: perché o il SSN viene radicalmente (e in tempo reale) rinnovato fin dalle fondamenta, il che significherà fare il contropelo a parecchie categorie professionali, medici di medicina generale in testa, o il sistema stesso è destinato a collassare con grande scorno di tutti (sui motivi del collasso parleremo più approfonditamente tra qualche giorno, sto leggendo e recensirò a breve un libro illuminante scritto, non a caso, proprio da un radiologo). Meglio che ce lo mettiamo in testa anche noi addetti ai lavori: bisognerà che ricominciamo a fare i medici, tra poco tempo sarà impossibile appoggiarsi tout court alla tecnologia per risolvere dubbi e perplessità diagnostiche. Sarà insomma l’apoteosi delle polluzioni notturne di qualsiasi amministratore: operare in iporisorse, come si dice, ossia fare le stesse cose con meno spesa, ossia riappropriarsi di tecnologie considerate a torto obsolete e farle funzionare a botte di neuroni. Come facevano i nostri nonni e i nostri padri, d’altronde. Per dire.
Ma forse tutto questo fosco scenario rappresenta, come al solito, anche un’opportunità: di cambiamento, prima di tutto, ma anche di integrazione e collaborazione, che d’altronde il cambiamento dovrebbero sempre e inevitabilmente precedere e sottendere. Mi piacerebbe che le scelte sanitarie, anche quelle dolorose, venissero prese sulla base di criteri finalmente equi, solidali, razionali; che tenessero conto non del saldo di bilancio di fine anno ma di ciò che accadrà, o potrebbe accadere, tra dieci, venti o trent’anni. Vorrei poter fare il medico, in questo scorcio di decennio, senza il terrore strisciante che tutto il lavoro di questi anni sia destinato al macero, o che gli sforzi organizzativi e culturali e di solidarietà di cui si è fatto largo uso fino a ora nell’ambiente in cui lavoro si traducano in una sola parola: fallimento.
Insomma, vorrei che il ministro Lorenzin avesse davvero idea, ma fino in fondo, fino al fondo del fondo, là dove si sentono gli odori malsani, di quale ginepraio ha scelto per cacciarci dentro le sue manine bianche. Da questo punto di vista mi sento persino solidale con lei: che forse ancora non lo sa, ma qualora volesse fare le cose per bene dovrà masticare amaro, e parecchio. Tuttavia non bisogna perdere le speranze: noialtri, della generazione dei quarantenni sfigati senza arte né parte, dovremmo pur sfruttarle le poche occasioni che il destino ci riserva per cambiare lo stato delle cose.
Riuscirci, poi, quello è tutto un altro discorso: e non dipenderà da lei, purtroppo.