Il gomitolo di lana dell’appropriatezza prescrittiva

di | 23 Giugno 2014

So che sto toccando un tema tremendo, per complessità che lo contraddistingue, ma abbiate fiducia e seguitemi nel discorso che sto per farvi.

La Radiologia negli ultimi decenni ha fatto passi da gigante: ma migliorando la qualità dell’offerta, come spiego nella mia Guida, è aumentata automaticamente la domanda. Ed è aumentata in modo esponenziale. Per capirci: quando dodici anni fa mi sono trasferito nel reparto in cui attualmente lavoro si eseguivano 14 TC di lista al giorno, con tempi di attesa di un certo tipo. Oggi, che siamo forniti di due TC multistrato (certo, non all’altezza di quelle in dotazione a ospedali più decentrati della zona, ma ricordate che in Radiologia è il manico che conta, non il numero degli strati), e il numero di esami quotidiani è più che triplicato, i tempi d’attesa sono più lunghi di quelli del 2002. A questo punto, direi, non ci vuole un genio per capire che il problema annoso delle liste di attesa non si risolve aumentando il numero di esami eseguiti: più produci, più ti vien chiesto di produrre. Allora la conclusione è evidente: se dodici anni fa ospedale e medici di famiglia mi chiedevano 14 TC al giorno (cavandosela alla grande), e adesso me ne chiedono oltre 50 (essendo in affanno), vuol dire che è cambiata non tanto la Radiologia (che è cambiata, e assai, e in meglio), ma la percezione stessa dei percorsi che conducono a diagnosi. E che, di conseguenza, un certo numero degli esami giornalieri che affollano le Radiologie italiane potrebbero essere inutili.

È su questo punto che in molti si scatenano, sovente senza aver capito fino in fondo di cosa si parli, invocando il mantra della cosidetta appropriatezza prescrittiva. Dimenticando un paio di considerazioni importanti.

Una: prima del concetto di appropriatezza bisogna ricordarsi che esistono i principi di giustificazione (è davvero necessario sottoporre il paziente a quel dato esame?) e di ottimizzazione (esiste per caso un esame alternativo, con meno costi biologici ed economici, in grado di fornire equivalenti conclusioni diagnostiche?). E che entrambi questi principi sono rispettabili solo se al radiologo vengono prospettati quadri clinici precisi e sospetti diagnostici circostanziati, cosa che accade assai di rado. L’alternativa, dolorosa ma inevitabile, sta nel D.L. 187/2000: quello che concede ai radiologi il diritto di valutare l’appropriatezza della prescrizione ed eventualmente modificarla scegliendo un altro esame che comporti minor danni biologici al paziente (a parità di efficacia diagnostica).

Ne consegue che (due) il concetto di appropriatezza è interamente nelle mani del radiologo, e non in quelle del medico prescrivente. Il che, se ci pensate bene, è anche naturale: chi volete che sia in grado di scegliere l’esame più adatto alla bisogna, se non lo specialista (radiologo) che quegli esami li esegue direttamente e dunque ne conosce a menadito limiti e potenzialità? Ma è qui che ci si impantana, perché l’appropriatezza non è solo quella prescrittiva: oltre a quella clinica esistono varie forme di appropriatezza, ognuna parimenti importante (per esempio quella scientifica, legata alle linee guida; ma anche organizzativa, etica, deontologica, persino quella relazionale). Ed è chiaro che se non si affrontano organicamente tutti i punti relativi al concetto di appropriatezza, e non si coinvolgono tutte le figure che vi afferiscono in qualche modo (medici di medicina generale; medici ospedalieri non radiologi; amministratori ospedalieri; politici regionali e nazionali) non si va da nessuna parte. Così come non va da nessuna parte, per motivi facilmente intuibili, delegando parte di questi percorsi (eminentente clinici) a personale non medico, dunque non formato in modo completo su queste problematiche.

Per esempio, con l’accordo Stato-Regioni del novembre 2001 le Regioni hanno ricevuto la delega di vigilare sull’appropriatezza organizzativa dei percorsi sanitario-diagnostici per ridurre sia il ricorso che l’erogazione di prestazioni diagnostiche non conformi ai criteri di appropriatezza. Fate presto a rendervi conto, però, di come le strade scelte per ottenere il risultato siano sulla lunga distanza perdenti: si è agito solo sull’erogazione (aumentandola) e non si è contenuto il ricorso, che invece è aumentato a dismisura. Tutto questo per un motivo molto banale: calare dall’alto una soluzione semplice e immediata è più facile che mettere insieme le parti e trovare una soluzione faticosa ma condivisa. Che invece è ciò che andrebbe fatto: con fatica, è vero, sudore e sangue. Ma se in ambito sanitario vogliamo costruire qualcosa che abbia il pregio di durare anche per i nostri figli e nipoti è questa la strada da battere. L’alternativa è il default del sistema, chiunque sia delegato a eseguire materialmente le ecografie o le colonscopie.

Lascia un commento