Oggi è passato in reparto un rappresentante farmaceutico, uno che non molti anni or sono era tra migliori tecnici del mio reparto e poi, credo a ragion veduta, decise di fare il salto del fosso. Mi ha salutato e mi ha detto: Continui ad avere questo bel sorriso, ogni volta che mi accogli, e invece i tuoi colleghi radiologi, dappertutto, sono sempre più depressi.
Poi ho parlato a lungo con uno degli specializzandi che attualmente frequenta il mio reparto: è terribile il modo in cui questi ragazzi vedono il nostro paese e il marcio che lo pervade in ogni angolo, dopo anni di risorse polverizzate dalla stolidità di chi invece avrebbe dovuto averne cura. Una frase mi ha colpito, dolorosamente, più di tutte: Ma perché dovrei essere costretto a emigrare dal paese in cui sono nato?
A tutti e due, lo confesso, al momento non ho saputo bene cosa rispondere. Da un lato, come medico, non me la sento di essere depresso: faccio un lavoro che mi piace, ma soprattutto ho ancora un lavoro. Di questi tempi il mancato rinnovo del contratto di lavoro non riesce ad angustiarmi più di tanto: per bere non è necessario un bicchiere di cristallo, può bastare anche il cavo di una mano. E non mi angustiano nemmeno la mole di lavoro che aumenta, il tempo che perdiamo in stupide procedure burocratiche e controlli procedurali che lasceranno il tempo che trovano, i contorsionismi bizantini di chi invece di fare tagli orizzontali avrebbe fatto molto meglio a tappare i buchi da cui perdiamo quotidianamente le risorse più importanti.
A me sta più a cuore il destino dei nostri ragazzi. Mi emoziona la voglia che tanti di loro hanno di studiare, aggiornarsi, diventare bravi medici: anche se non nutrono grosse speranze per il futuro, e sanno che il rischio di venir superati dal solito figlio di papà, in quella che è diventata una vera e propria corsa alla sopravvivenza, è molto elevato.
Insomma, il momento è difficile e per risolvere questa difficoltà noi comuni mortali possiamo poco o nulla. Però la speranza nel futuro, ecco, quella vorrei davvero che nessuno la smarrisse. Si può procedere anche con i piedi nel fango, ma sapendo in che direzione si sta andando.
C’è del marcio in questo paese, è vero. Ma morire per morire, meglio farlo lottando fino alla fine. Con il sorriso sulle labbra, e cercando di salvare il salvabile.