Alfredo, che di mestiere fa lo specializzando al quarto anno di corso, ed è quindi prossimo al diploma di specializzazione, mi ha inviato una simpatica e-mail in cui racconta delle sue giornate lavorative e della sostanziale impossibilità di mettere a frutto le sue conoscenze e il suo notevole entusiasmo in un ambiente stagnante come la sua Scuola. Al punto che, pur essendo animato dal desiderio di continuare la carriera universitaria, si è posto il legittimo dubbio che anche io, all’epoca, mi posi: ha senso che io metta radici in ambiente universitario se le regole che valgono sono quelle dei quattro (o cinque) anni appena trascorsi qui dentro come specializzando? E, soprattutto, mi chiede: in poche parole, che differenza c’è tra un radiologo ospedaliero e uno universitario?
La lettera di Alfredo è molto simpatica e peraltro lui è uno che scrive molto bene: quindi ho scelto una risposta che credo possa piacergli, se non nelle conclusioni almeno nello stile con cui l’ho elaborata.
Tutti, credo, conoscete per sentito dire il principio del rasoio di Occam: in breve, e semplificando parecchio, questo principio afferma che la soluzione migliore a un dato problema è in genere quella più semplice; in altre parole, quella che scarta le ipotesi più complesse. Pertanto, senza ovviamente voler generalizzare, mi viene da rispondere alla domanda di Alfredo con un esempio di vita vissuta: il radiologo ospedaliero è in genere quello che ragiona con il principio del rasoio di Occam. Non perchè sia più capace, più furbo o intelligente di quello universitario: no, è solo questione di esperienza messa a frutto. Quando anni di trincea ti hanno insegnato a perseguire ipotesi diagnostiche semplici, perchè la diagnosi esatta è in genere quella statisticamente più probabile, il rasoio di Occam preferisci tenertelo ben stretto in mano. Sempre.
Il radiologo universitario è invece più propenso a riporre il rasoio nell’armadietto del bagno: se esiste una ipotesi diagnostica complessa e di estrema rarità, state certi che lui la infilerà nel mazzo delle diagnosi differenziali e a volte addirittura al primo posto. Perché delle due l’una: o avrà azzeccato diagnosi, con annesso figurone da storia, o l’avrà cannata: ma cannare una diagnosi dal nome esotico lascia sempre un retrogusto dolce. Del tipo: Io almeno la conoscevo, quella sindrome rarissima e dal nome impronunciabile. E tu?