Il rovescio della medaglia

di | 14 Ottobre 2010

Un collega, brava persona oltre che ottimo radiologo, è stato chiamato in causa per un questione risibile: della quale non è in alcun modo corresponsabile e dalla quale uscirà pulito e lindo come un lenzuolo lavato in lavatrice, e su questo sono pronto a scommettere quello che volete.

Però, per quanto sereno possa essere circa il suo operato di medico, è preoccupato. Nervoso. Si sente lui la vittima, dice: La prossima volta, invece di fare diagnosi, mi limito a descrivere tutto quello che vedo come i radiologi di vent’anni fa.

Questo mio collega, oggi, durante una procedura interventistica ha chiuso un’arteria che sanguinava nella pancia di un paziente con una grave malattia ematologica. L’ha chiusa senza aprirgli la pancia, perché nessun chirurgo si sarebbe arrischiato a farlo in quelle condizioni (50 di pressione massima, non vi dico l’emoglobina), raggiungendo il vaso rotto mentre il paziente letteralmente agonizzava in un lago di sangue. L’ematologo che lo seguiva si aggirava per il reparto dicendo: Era morto, era davvero morto, gli ha salvato la vita.

Questa, signore e signori, è la differenza tra l’episodio di malasanità e quel lavoro di merda che facciamo ogni giorno, per cui chi compie evoluzioni da funambolo con un catetere, in condizioni disperate, salva la vita alle persone e prende lo stesso stipendio di chi pilota una scrivania (anzi, forse prende molto meno) o referta (male) una radiografia del torace.

E non solo nessuno gli dice grazie, ma se può gli rovina le notti di sonno.

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