Intervista per la giornata mondiale della Radiologia

di | 5 Novembre 2022

Sono stato intervistato da una giornalista/collega di Giornalesanità.it in occasione della giornata mondiale della Radiologia, che cade il prossimo 8 novembre. Ho risposto ad alcune domande: mi sembra giusto riportare l’intervista anche in questa sede, che ultimamente sto trascurando per problemi di lavori in corso nella mia vita professionale. In ogni caso, il link all’intervista è qui. La fine dell’intervista è un po’ polemica (anche il resto, a dire il vero, per chi sa leggere tra le righe). Ma a non aver più niente da perdere corrisponde anche qualche indubbio vantaggio: poter dire quello che si pensa, per esempio, senza peli sulla lingua. Ammesso di averli mai avuti.


Ricorre l’8 novembre la Giornata Mondiale della Radiologia.
Instituita per la prima volta nel 2012, e giunta alla sua decima edizione, la Giornata è volta a promuove il ruolo dell’immagine nell’assistenza sanitaria moderna.
Nell’epoca post covid, la radiologia ha conosciuto una nuova l’era: l’ennesima rivoluzione in un segmento segnato, e legato stretto, al velocissimo e sempre più frequente ricambio tecnico e tecnologico.
Sfide quotidiane attendono medici e personale tecnico e sullo sfondo la rivoluzione più grande di tutte: l’avvento di Internet e i social network, che più di ogni altra cosa hanno cambiato il volto della medicina.
Per celebrare la Giornata mondiale della Radiologia, Giornale Sanità ha voluto dedicare due spazi ad altrettanti medici radiologi, che hanno scelto di raccontare la vita e la professione sul web, in modo diverso ma complementare e, soprattutto, innovativo.
Esponenti di due diverse generazioni, il dottor Giancarlo Addonisio, qui intervistato, e il dottor Manuel Signorini, parlano e raccontano la radiologia, mettendo a disposizione del pubblico l’esperienza umana e professionale.

Il dottor Giancarlo Addonisio, primario dell’USL4 del Veneto Orientale, è autore di un blog che ha ispirato un’intera generazione di specialisti, unradiologo.net, in cui alterna casi clinici a stralci di vita, non mancando di accennare a temi sociali, basati sulla sua esperienza di dirigente medico.

L’8 novembre ricorre la Giornata Mondiale della Radiologia, giunta alla sua X edizione. Cosa crede sia cambiato negli ultimi 10 anni?

La risposta più semplice da dare sarebbe la seguente: è cambiata la tecnologia in tutta la filiera radiologica, dall’inserimento dell’esame di un Paziente nelle liste di lavoro alle modalità di refertazione. In realtà, il cambiamento più radicale dell’ultimo decennio è la straordinaria e imprevedibile crisi di personale medico, comune peraltro ad altre branche specialistiche. La rivoluzione al contrario avvenuta nei reparti ospedalieri, dove pochi medici aziendali coesistono con consulenti esterni che lavorano a cottimo, capaci di guadagno dieci, cento volte maggiore dei colleghi ospedalieri ma senza stabilire rapporti duraturi con il reparto stesso e il resto dell’ospedale.
Il vero cambiamento degli ultimi dieci anni non riguarda la Radiologia: è piuttosto l’agonia della sanità pubblica come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 30 anni.

La radiologia è stata segnata da una serie di rivoluzioni, più o meno piccole, tra cui il passaggio dall’analogico al digitale. Come è stato viverlo in prima persona? Quale è la rivoluzione che crede abbia segnato di più il suo vissuto da medico?

Per una disciplina già fortemente orientata in senso tecnologico come la Radiologia, il transito analogico-digitale, insieme all’avvento di Internet e a rivoluzioni informatiche molto più radicali e segnanti, è stato molto naturale. Lo abbiamo atteso per anni e quando si è concretizzato, ha comportato più cui ogni altra cosa una significativa velocizzazione del flusso di lavoro e l’accesso a elaborazioni molto complesse dell’immagine radiologica, migliorando la capacità diagnostica complessiva. Sicuramente si è trattato della rivoluzione tecnologica più importante, ma l’impressione è che abbia solo aperto la strada a ulteriori e più radicali cambiamenti, dei quali il protagonista indiscusso sarà l’intelligenza artificiale. Rimane il rammarico di aver perso l’occasione per mettere in rete l’intera sanità pubblica, rendendo fruibili a ogni medico le informazioni sui Pazienti e semplificare radicalmente la loro gestione clinica.

Niente cambia in fretta come la radiologia, al passo con le tecnologie più avanzate, e si parla sempre più spesso di Intelligenza Artificiale. Cosa pensa sarà in futuro la radiologia e quale sarà il ruolo del medico radiologo?

Il ruolo dell’intelligenza artificiale (AI) diventerà rapidamente crescente nei prossimi anni, e sarà funzione della potenza dei processori e della quantità di informazioni che l’hardware potrà raccogliere. La questione non è quindi se AI giocherà o meno un ruolo chiave in medicina, il problema è solo quando sarà in grado di farlo. Non è una questione tecnica, ma gestionale. Già adesso siamo di fronte a resistenze anacronistiche da parte di molti fronti: si paventa la possibilità che il Medico radiologo possa essere gradualmente sostituito da AI e pertanto perdere il suo ruolo di centralità nella gestione del Paziente. La questione è ovviamente molto più complessa e ha molteplici aspetti da esplorare: per esempio, ma cito solo la prima che mi viene in mente, quello medico-legale (chi risponde in sede civile e penale in caso di errore di AI?). Come sempre accade in questi casi, quindi, sarebbe opportuno governare questo processo di cambiamento piuttosto che ostacolarlo e rischiare che travolga l’intero sistema, e usarlo per ottenere gli indubbi benefìci che AI può avere nell’intera catena diagnostica.

Il suo blog, unradiologo.net, raccoglie, come scrive lei stesso, il diario di un radiologo ospedaliero. Tra considerazioni personali e spunti di riflessione, parla anche di casi che ha trattato, e si rivolge ad addetti ai lavori e non. Secondo lei è giusto snocciolare la radiologia in modo semplice, così da renderla accessibile a tutti?
Crede che i social network o più in generale in web, abbia avuto un qualche impatto sulla medicina, e sulla radiologia? Quale?

Il mio blog e la mia pagina Facebook parlano solo marginalmente di casi clinici e quando lo fanno il post è rivolto agli addetti ai lavori, con un linguaggio tecnico: ho sempre cercato, anche nelle attività congressuali, di rendere semplici i concetti più complessi in modo che a fine presentazione fosse possibile portare a casa due o tre concetti chiave utili per il lavoro quotidiano. Le restanti riflessioni traggono spunto dalla vita ospedaliera ma spesso vanno oltre, toccano temi di management o politica. In ogni caso, elementi che hanno a che fare col mio mestiere più o meno direttamente, e che è bello condividere anche con i non addetti ai lavori: sapere di cosa si occupa un medico può essere utile per comprendere il valore del suo operato e le motivazioni che sottendono suoi eventuali errori. La cosa importante rimane però il rispetto dei Pazienti: quando espongo un caso clinico, con modalità del tutto analoghe a quelle congressuali, sto sempre molto attento che non trapelino informazioni lesive dell’anonimato. Tuttavia, bisogna riconoscere che il web ha radicalmente modificato la percezione della medicina nei non addetti ai lavori: basti pensare a quante persone si rivolgono a motori di ricerca come Google per cercare spiegazioni e cure ai loro problemi. Questa inedita fruibilità della medicina ha creato parecchi problemi, come l’illusione da parte dei pazienti di risolvere autonomamente i problemi di salute, con grossi rischi di accentuarli, ma ha anche evidenziato uno dei più grossi problemi della medicina moderna: la scelta politica di trasformare il medico da dispensatore di cure in burocrate, e sottraendogli il tempo materiale a disposizione per ogni singolo Paziente, ha contribuito a determinare questo smottamento. Per gli addetti ai lavori il discorso è differente: la rapidità nello scambio delle informazioni, e la possibilità di manipolarle a fini diagnostici, ha determinato una rivoluzione che, soprattutto in Radiologia, è equivalente a quella legata alla scoperta dei raggi X o all’invenzione della risonanza magnetica.”

Lei è uno scrittore, oltre che medico e dirigente di UOC, e spesso la radiologia è considerata una branca piuttosto “distaccata” nei confronti del paziente.
Crede nella medicina narrativa? E secondo lei, la radiologia ha bisogno di implementare questo aspetto?
Possono i social giocare un ruolo in questo?

Bisogna procedere per punti. Innanzitutto, non è vero che la Radiologia sia una branca più distaccata dal paziente di altre. Il potenziale di comunicatività ed empatia di un medico prescinde dalla specialità che sceglie dopo la laurea ed è un dono naturale del quale nessuno di noi dovrebbe essere sprovvisto, e che anzi il corso di laurea dovrebbe potenziare al massimo. Sempre per restare nell’ambito della Radiologia, un turno in sala ecografica è il classico esempio di come sia possibile stabilire un contatto diretto con il paziente, acquisire informazioni mediante l’anamnesi, entrare il più possibile in risonanza con lui, visitarlo con le mani prima ancora di poggiare la sonda ecografica sul suo addome. Ecco, proprio il tuno in sala ecografica è per me un serbatoio naturale di storie da raccontare sui social. La possibilità di parlare a lungo con il Paziente prima, durante e dopo l’esecuzione dell’esame, è una miniera di aneddoti e riflessioni personali che poi cerco di tradurre in quell’esperimento di medicina narrativa che è il mio blog. Un format che ha funzionato benissimo, devo dire: a fine 2004, quando il blog vide la luce, fui tra i primi a imboccare una strada che poi è stata percorsa da molte persone, anche non addetti ai lavori. In definitiva, credo che la medicina narrativa, in sé, sia uno strumento potentissimo, per noi e per i Pazienti, che possono imparare qualcosa sulla vita interiore dei medici, sul loro sforzo continuo di miglioramento, sulle difficoltà legate a errori di diagnosi o terapia. E serve anche ai medici stessi: nel mio caso, per esempio, scrivere equivale a resettarmi dopo una giornata lunga e faticosa, a centrarmi nuovamente sui motivi per cui ho scelto proprio questo lavoro. I social, in questo, sono fondamentali perché permettono di ottenere una platea di lettori molto ampia.

Secondo lei, di cosa ha bisogno la radiologia nel nostro paese?

I bisogni della Radiologia nel nostro paese sono gli stessi di qualsiasi altra disciplina medica: una buona politica alle spalle, una programmazione che tenga realmente conto delle esigenze delle persone e del territorio di riferimento e che non miri soltanto a raggiungimento di un risultato di facciata, spesso numerico e non di sostanza, e che impatti realmente sulla qualità di vita delle persone. Purtroppo, l’impressione attuale che se ne ricava, da addetto ai lavori, è che lo stato di prostrazione in cui versa la sanità pubblica non sia legato a errori di programmazione o all’incompetenza di chi ha gestito la stessa nel corso degli ultimi decenni. La sensazione forte di noi operatori è che sia in atto una sterzata epocale programmata con largo anticipo: la sanità pubblica costa troppo e bisogna sostituirla con un modello più economico. Io non contesto la scelta politica, che entro certi limiti potrebbe anche essere condivisibile (sebbene il nostro sistema sanitario, a parità di efficienza, costi meno di quello francese, per esempio, o di quello tedesco). Contesto però le modalità con cui è messa in atto, questa volontà di far apparire lo stato delle cose non come frutto di precise decisioni politiche ma conseguenza di gestioni precedenti concettualmente errate. Contesto anche la miopia con cui le associazioni di categoria hanno accompagnato questa deriva senza prendere posizioni nette, senza le barricate che forse avrebbero salvato l’intero sistema o almeno ritardato la sua implosione. Certo, non è lo scenario che mi aspettavo al momento della laurea, nel 1994, quando ero certo che l’edificio della sanità pubblica fosse indistruttibile e destinato a durare in eterno. La mia speranza a questo punto rimane una sola: che chi ha responsabilità in questo processo di demolizione controllata, a tutti i livelli, venga chiamato prima o poi a risponderne.

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