La faccia triste dell’invecchiare

di | 7 Marzo 2012

Il tempo passa per tutti, lo sappiamo bene anche se non ce ne rendiamo conto: quando faccio mente locale su quanto sono giovani alcune mamme mi viene male. Ieri ho fatto un’ecografia a una ragazza con un pancione enorme, era nata nel 1987: lo stesso anno in cui mi sono iscritto al corso di laurea in medicina. Per cui ho una certa difficoltà nel rendermi conto che non ho più vent’anni, non ne ho più trenta e nemmeno quaranta. Devo fare uno sforzo di grande concentrazione per realizzare che se infilo un paio di calzoncini bianchi e riprendo la racchetta da tennis in mano, dopo svariati mesi di inattività fisica, non solo non la metto dentro ma dopo dieci minuti ho pure il fiatone. A volte faccio finta di niente: quella cisti tendinea che ho dietro il ginocchio a volte si infiamma, ma a volte no e allora posso far finta di essere giovane e fare le scale due alla volta (fortuna che abito al primo piano, ne andrebbe della mia autostima). Come talismano personale ho conservato il vestito del matrimonio: finché riuscirò ancora a indossare il pantalone e ad allacciare il fatidico bottone sarò fuori pericolo. Il giorno che non ne sarò più capace, beh, quel giorno bisognerà scendere a patti con la realtà.

Il problema è che puoi fregare te stesso, far finta che quelle rughe sulla fronte siano di espressione e le palpebre sembrino pesanti perché hai appena finito la notte di guardia. Quello che proprio non si può fare è ignorare i segni dell’invecchiamento sul prossimo: specie se hai a che fare con lui da molti anni e lo vedi piuttosto infrequentemente.

Esempio: qualche sera fa accendo la tivù e subito mi capita James Taylor seduto su una sedia, chitarra in mano, che canta (malino, a dire il vero) la famosa You’ve got a friend. Allora, dovete sapere che io conobbi James Taylor nell’autunno del 1984, pochi giorni prima di essere devastato dalla madre di tutte le delusioni amorose della mia vita (forse, a essere cinici, l’unica vera delusione amorosa che abbia mai avuto). A presentarmelo fu Flavio, un caro amico che ascoltava musica che all’epoca nemmeno conoscevo: mi prestò una cassetta (era una C90, da un lato c’era JT e dall’altro Gorilla) e io la ascoltai senza sosta negli interminabili pomeriggi che precedettero la botta magistrale. Fortuna che non associai in modo indelebile il buon James alle mie giovani sofferenze sentimentali, e dunque riuscii a procurarmi senza grossi problemi esistenziali anche gli altri dischi e a seguire per molti anni la sua pista (la sua musica per me restò comunque legata, in qualche modo, alle esperienze con l’altro sesso: per esempio nel 1988, un po’ più sgamato di quattro anni prima, fui accompagnato per mano da Hourglass in una relazione extraconiugale, sul versante femminile, degna di memoria. October road, nel 1992, mi introdusse al corteggiamento di una mia ex fiamma, preludio a tre anni di buon sentimento finiti poi abbastanza maluccio).

James Taylor, non so come altro dirlo, per me è sempre stato espressione di giovinezza. Se guardate le sue foto di quando era giovane, James Taylor era proprio giovanilmente spavaldo: l’espressione di chi non teme il futuro né la paura del tempo che passa. La sua voce, anche oggi che ha sessantaquattro anni, è la voce di un ragazzo angelico che canta delle gioie del Paradiso. Si fa veramente fatica a immaginarselo tossicodipendente, strafatto di eroina e con i buchi delle iniezioni sulle braccia, alle prese con matrimoni fallimentari e squallide camere di albergo.

Per cui quando l’ho rivisto in tivù, l’altra sera, con l’immancabile cappello a coprire la pelata, e ho visto il suo viso da anziano con le rughe e le macchie sulla pelle, ho avuto un brivido freddo sulla schiena. Ho realizzato in un colpo solo che sono passati quasi trent’anni da quando ho ascoltato per la prima volta Handy man e che tutto è radicalmente cambiato: soprattutto dentro di me. Come uno che sta per rendere l’anima al creatore, ho rivisto tutta la mia vita in un secondo: è lo schermo era nei suoi occhi. Occhi stanchi, occhi da vecchio.

Per cui, scusatemi, ma James Taylor è invecchiato, Lucio Dalla è morto e io oggi non mi sento niente bene.

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