La metafora di Bambi

di | 26 Luglio 2011

Bambi, come tutti sapete, è un giovane cerbiatto figlio del cervo più importante, ossia il re del bosco.
Nella sua giovane vita Bambi non fa nulla di sensazionale: impara a camminare, a dare un nome agli animali e alle piante del bosco, a riconoscere gli amici. Poi conosce una cerbiatta, fa a cornate con un rivale per i bellissimi occhioni di lei, e impara a sfuggire ai pericoli della vita, che nel caso specifico sono i cacciatori e gli incendi nel bosco.
In buona sostanza, Bambi si limita a fare quello che fa ognuno di noi: crescere nel modo meno peggiore possibile, cercando di imparare dai suoi sbagli e dalle piccole intuizioni. E suo padre, il Grande Cervo che regge il bosco, compare di tanto in tanto a indicargli la strada corretta da seguire o solo per consolarlo: come quando la mamma viene ammazzata dai soliti spietati cacciatori. E, anche in quel caso lì, lo sprona a superare il momento critico, a guardare oltre il proprio dolore.
Alla fine della storia Bambi, come la maggior parte di noialtri, sposa la sua cerva del cuore e genera due cerbiattini. Ed è a quel punto che suo padre, il Grande Cervo, compare per l’ultima volta a Bambi: non perchè dovrà morire, non ancora almeno, ma perchè il suo lavoro è finito. Il piccolo Bambi è diventato un cervo adulto, e adesso reggere il bosco toccherà a lui: perchè chi mai dovrebbe occuparsi del Bosco e dei suoi abitanti se non un giovane cervo pieno di energie e di vita, con due cerbiattini a cui consegnarlo in salute e splendore quando saranno a loro volra cresciuti? Suo padre, forse, ancora il Grande Vecchio Cervo?
No. Perchè il Grande Vecchio Cervo conosce bene i ritmi della natura, e sa bene che se lui non si facesse da parte Bambi non potrebbe mai diventare un re del bosco adeguato al suo ruolo ma resterebbe un giovanotto senza arte nè parte, in attesa di tempi migliori, rassegnato al degrado di un bosco intero per le scelte scellerate di un genitore determinato a non cedere un palmo di terreno fino alla morte naturale.
La storia di Bambi, inutile dirlo, è la storia al contrario della mia generazione. Quando contemplo lo sfacelo di questa nazione, che sta avvenendo sotto le scarpe delle mummie che lo governano bene o male da quaranta anni, da destra, da sinistra o dal centro, mi monta dentro una rabbia infinita. Un senso di impotenza altrettanto privo di limiti, perchè ai miei cerbiattini io dovrò invece consegnare un bosco in fiamme senza averlo incendiato io e senza aver potuto far niente per spegnerlo.
Tutto raccontato in Bambi, il cartone animato più stucchevole di ogni tempo. Così chiaro e lampante da pensare che il buon Walt, che in cima alla piramide ci stava in tutti i sensi, continui a prenderci per il culo dopo cinquanta anni, con quel suo sorriso sornione stampato sotto i baffetti da sparviero.

Lascia un commento