La prova dell’esistenza di Dio

di | 19 Novembre 2014

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Confesso che quando ho letto le parole di Veronesi sono rimasto un po’ perplesso: non che io sia un fervente religioso, beninteso, però qualche domanda me la sono posta lo stesso

La prima: ma perché un uomo prossimo al capolinea sente il bisogno di esternare in modo così radicale le proprie convinzioni circa l’aldilà? E proprio in un momento della vita in cui chiunque, anche lo scettico più incallito, si pone il dubbio che dall’altra parte, invece, potrebbe davvero esserci qualcosa? Viene in mente la vicenda di Guttuso, comunista e ateo fino al midollo, e della presunta conversione in punto di morte di cui qualcuno narra. Magari aveva ragione Guttuso e conviene mettere in pratica il celebre aforisma di Pascal, che calcolava il vantaggio statistico della fede in Dio: se Lui esiste, tanto di guadagnato; e se non esiste pazienza, nessuno si accorgerà mai della differenza. Veronesi, invece, no.

La seconda: perché un uomo di scienza prossimo al capolinea sente il bisogno di esternare in modo così plateale le proprie convinzioni in ambito medico, anche quando non suffragate da evidenze inoppugnabili (leggi: lo screening)? E perché decide di esternarle in modo così generico e impreciso che, se a farlo fosse un altro chiunque signor nessuno, archivieremmo il tutto come una delle tante espressioni di cialtroneria sanitaria? Domande difficili: bisognerebbe conoscere l’uomo, i suoi trascorsi, la sua visione del mondo. Bisognerebbe però anche capire che genere di rapporti abbia con la stampa, e per quale motivi scelga canali di comunicazione che amplificano solo una parte delle sue parole, quelle potenzialmente destabilizzanti.

E, certo, l’argomento filosofico circa la non esistenza di Dio presta il fianco a confutazioni di ogni genere: per esempio, l’idea che il cancro possa esistere perché il nostro corpo non è immortale e, come tutte le macchine (biologiche o artificiali) è composto da pezzi che si usurano con il tempo o che eventi esterni possono danneggiare. D’altro canto la frizione della nostra automobile ha una durata non infinita, per quanto di buona fattura possa essere; e se parcheggiamo l’auto all’aperto la carrozzeria mostrerà segni di ruggine prima di una tenuta amorevolmente al coperto.

Si potrebbe obiettare che il nostro destino, a prescindere da Dio (su cui possiamo filosofeggiare, ma senza certezze), dipende unicamente da cosa è inciso nel nostro codice genetico (sul quale invece possiamo discutere su basi scientifiche, dunque più solide): e che tutto sommato non è così importante che Dio esista o meno perché la nostra naturale evoluzione di esseri coscienti dovrebbe condurci, prima o poi, a deliberare sul bene e sul male senza bisogno che un tale in abito bianco (rosso, nero, quello che volete voi) esprima pubblicamente il suo insindacabile parere sull’argomento influenzando la storia dei popoli della Terra.

Si potrebbe obiettare, come fanno in molti, che il dolore è uno dei mezzi di cui si avvale Dio per raffinare le nostre anime, senza per questo sentirci frustati perché non comprendiamo il Suo disegno: ma d’altro canto Dio è Dio è non è tenuto a fornire spiegazioni. Se poi ci ricordiamo del trattamento che ha riservato a Suo Figlio, e lo utilizziamo come parametro di riferimento, beh, non c’è da meravigliarsi se esiste il cancro.

Si potrebbe persino arrivare all’iperbole di sostenere che Dio esiste ma neanche si accorge di noi: a volte la pervicacia con cui certi ferventi stanno a misurare con il bilancino i loro peccati (e quelli altrui) mi sembra il peggior atto di superbia possibile a questo mondo. Dovessi dire la mia, Dio ha certamente problemi più importanti con cui misurarsi del peccatuccio domenicale di quello che Gaber chiamava “il piccolo borghese noioso che non commette mai peccati troppo grossi, non è mai intensamente peccaminoso”.

Poi però torno con i piedi per terra, ricordo che dietro quella frase c’è un libro appena pubblicato e da pubblicizzare, e tutto ritorna chiaro. Forse Dio non esiste, è vero. Ma sarebbe già molto se esistesse l’uomo, quello con la U maiuscola.

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