La solitudine dei numeri di screening (un post di Giancarlo)

di | 24 Maggio 2015

A seguire, una riflessione di Giancarlo sui numeri degli screening medici: parte dai controlli mammografici e punta il dito sull’altra faccia della medaglia, quella che chi fa screening spesso preferisce non guardare (al pari dei politici, che spesso quando si occupano di queste cose non sembrano mossi da ragionamenti clinico-economici ineccepibili ma solo dal vento emotivo che tira). Buona lettura.

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Prendo spunto per questo intervento da uno splendido articolo apparso su Il Radiologo (anno LIII, n.2, aprile-giugno 2014) a firma di Anna Valchera.

L’osservatorio nazionale screening ha reso noto che ogni anno circa un milione e mezzo di donne si sono sottoposte al controllo mammografico di screening.

Di loro ci si aspetta che ad ogni round circa 8 su 1000 siano portatrici di cancro al seno, ma noi radiologi ne troveremo solo 5-6 su 1000, 2 li troveremo al round successivo e di questi il 20 % risulteranno già visibili sul precedente mammogramma.

Ora, se il cancro viene fuori nell’intervallo tra un esame e un altro, gli scenari sono due: o il cancro già si vedeva e allora i soliti periti tuttologi che affollano le aule di tribunale col senno di poi che sempre li distingue, punteranno il dito con enfasi tribunizia sul mammogramma e si stracceranno le vesti su qualunque segno sia esso stato, anche il più insignificante e simile a migliaia di altri in migliaia di altri mammogrammi. Se non si vedeva, gli stessi periti manderanno lo stesso sotto processo il malcapitato radiologo perchè “Non poteva non fare una ecografia di approfondimento”…

Si penserà che il povero radiologo senologo, di fronte a queste cifre, metta in atto la santa Medicina Difensiva, ossia ordinerà molti esami di approfondimento come ecografie, biopsie, eccetera.. Eh no, signori, la Regione ha stabilito come indicatori di performance un tasso di richiami desiderabile del 3-5% ed accettabile del 5-7%, così se sfori partono dapprima letteracce e in casi estremi ti tolgono la certificazione a fare lo screening. Il tutto mentre fioriscono studi epidemiologici sulla sovradiagnosi e all’orizzonte si fa sempre più probabile la denuncia non solo per omessa diagnosi, ma anche per aver ordinato approfondimenti qualora non siano davvero necessari.

Il tutto per, nella migliore delle statistiche disponibili, un 20% di calo della mortalità per la coorte delle pazienti screenate rispetto a quelle non screenate. È poco? È molto? Non mi permetto di esprimere opinioni su materia tanto delicata. Il Politico e gli Alti Papaveri radiologici hanno deciso di fornire questo strumento alla popolazione e si sa quanto il cancro al seno sia materia “sensibile” per il consenso popolare. Ma allora, che sia ben chiaro anche alla meno acculturata delle pazienti che questo è uno strumento spuntato, che non vede un cancro su cinque per limitazioni intrinseche alla metodica stessa. Certo, il suo dovere lo fa (anche se c’è qualcuno che comincia ad avanzare qualche dubbio), ma si lascia inevitabilmente dietro una striscia di falsi negativi non indifferente.

Il paragone che più spesso mi viene in mente quando mi accingo a refertare paccate di mammogrammi di screening è che il senologo somiglia molto ad un pugile mandato a combattere sul ring con un braccio legato dietro la schiena. Certo, se sei un Mike Tyson del 1988 (o, in ambito senologico, un Giuseppetti, un Lattanzio o un Rosselli del Turco) è probabile che il match lo porti a casa, ma se appartieni al punto medio della campana gaussiana tanto cara a Gaddo, un onesto lavoratore che magari vanta una medaglia d’oro olimpica come Patrizio Oliva, prima o poi trovi il Coggi di turno che ti gonfia come una zampogna e ti sbatte al tappeto.

Quindi? Sconforto… Sconforto che ti prende se pensi al 300% in più di contenziosi per malpractice nel 2010 (dati ANIA) e al fatto che un vero boom lo hanno registrato proprio casi riguardanti la senologia.

Sconforto anche se pensi che non solo puoi cannare un tumore, ma quello può far anche morire la malcapitata paziente: per cui parti da una richiesta di risarcimento per perdita di chance e finisci con una imputazione coatta per omicidio colposo.

Sconforto per una legislazione che grazie alla sentenza della Cassazione n. 4400 del 4.3.2004 consente al cittadino paziente o ai suoi eredi di sporgere denuncia fino a dieci anni dopo aver avuto sentore del danno subito per presunto errore diagnostico, un obbrobrio giuridico che si sta cercando di sanare ora dopo aver fatto danni incalcolabili, ma che ancora ci occhieggia alle spalle ogni santo giorno lavorativo.

E, come chiosa mirabilmente Anna Valchera nel suo articolo, in mezzo a tutti questi numeri, il collega Radiologo operatore di screening vive la sua solitudine, come i protagonisti del noto best seller, vittime di un dramma che li ha menomati, ma che al tempo stesso li ha resi unici.

(Giancarlo)

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