La vera storia di Peter Norman

di | 26 Agosto 2015

Il post di oggi, sebbene si concluda anch’esso con un funerale, narra di una storia molto più edificante di quella del post che lo ha preceduto. È la storia di Peter Norman, velocista australiano a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, e di amicizie molto più profonde di quanto la pura e semplice frequentazione personale possa implicare. La racconta un meraviglioso articolo, condiviso su Facebook, a firma di Gianni Mura: uno dei pochi giornalisti intellettualmente onesti di questo paese (non si è mai o quasi mai occupato di politica, credo per deliberata scelta, il che già la dice lunga sulla sua posizione personale in merito). Poi, dopo aver approfondito la questione, non ho avuto scelta: la storia di Norman andava condivisa anche sul blog. A fine lettura non ringraziate me, mi permetto di insistere, ma Gianni Mura.

Io aggiungerò solo due considerazioni personali. La prima riguarda la fotografia di cui parla Mura, e che ritrae la cerimonia di premiazione dei 200 metri piani alle olimpiadi di Città del Messico (anno domini 1968). Certo, ero al corrente, più o meno, delle motivazioni del gesto simbolico espresso dai due atleti di colore con il pugno guantato e sollevato (il saluto del Black Power) durante l’esecuzione dell’inno americano: era il ’68, il mondo ribolliva di cambiamenti e i neri avevano parecchio da recriminare dopo oltre un secolo di schiavitù prima e razzismo dopo. Ed ero al corrente della fine invereconda e indegna di un paese civile a cui i due atleti, consapevolmente, erano andati incontro. Ma vi propongo anche le due domande che mi sono sempre posto, da perfetto ignorante, ogni volta che la guardavo. Domanda 1: perché Tommy Smith, il primo classificato, solleva il pugno destro e John Carlos, il terzo classificato, solleva il sinistro? Domanda 2: Chi è quel bianco stronzo che è arrivato in mezzo ai due e fa finta di niente?

Adesso, dopo il racconto di Mura, e guardando la coccarda appuntata sul petto di Peter Norman, lo so.

Rimane, in ultimo, il fatto che i due americani, Smith e Carlos, nel 2006 hanno attraversato il Pacifico per portare sulle spalle la bara del loro amico australiano appena deceduto. I loro destini avevano preso strade differenti, e tutte non piacevoli da percorrere. Eppure queste ultime due foto ci insegnano che sono soprattutto le lacrime di chi ci è stato caro, le lacrime ancora più che il riso, a insegnarci il modo perfetto in cui certe scelte vanno fatte, e certe vite vanno vissute.

 

 

 

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