Ho conosciuto Alfredo Siani quando era Presidente della SIRM. O forse, per essere pignolo, dovrei dire che fu lui a conoscere me: aveva cominciato a bazzicare il blog e dopo la pubblicazione della mia Guida minima allo sopravvivenza dello specializzando in Radiologia mi dedicò un commento che è ancora gelosamente conservato negli archivi del sito. D’altronde anche io ero entusiasta della rubrica che Siani curava personalmente sul portale societario: mi sembrava lodevole che un Presidente avesse voglia di aprire un dibattito con la cosiddetta “base”, con i radiologi da trincea lontani anni luce dalle aule universitarie, e decidesse di estenderlo anche a temi che fino a quel momento erano rimasti decisamente tabù. In particolare, restai senza parole dopo aver letto l’editoriale in cui il Presidente sparava a zero sulle elezioni bulgare, quelle con in lizza un solo candidato o consiglio direttivo, e sui mammasantissima (li chiamò proprio così, con un linguaggio forse di non casuale matrice malavitosa) che non avevano alcun interesse a cambiare lo status quo. E’ da allora che tengo a freno la voglia di porgli un paio di domande serie, di quelle che non accettano risposte diplomatiche: e finalmente ne ho avuto l’occasione.
Passare una sera con Alfredo Siani è un’esperienza che porta con sé almeno due elementi sconcertanti. La prima: l’uomo è un fiume in piena e mentre sviscera un’argomento ne sta già toccando altri due o tre, che verranno lasciati cadere e ripresi dopo, quando meno te lo aspetti, come se la narrazione non fosse mai stata frammentata. La seconda: Alfredo Siani ha una memoria formidabile. E’ in grado di ricostruire eventi persi nella nebbia degli anni ricordando il giorno preciso in cui si sono svolti, a volte l’ora, l’esatta cronologia dei fatti che li compongono e le persone presenti sulla scena. Ma su questo punto torneremo durante la narrazione.
Ci siamo dati appuntamento in strada, a due passi dal lungomare. Lui, puntualissimo e sorridente, è passato a prendermi con la sua Smart.
Siani: Ahò, mica ti pensavi che venivo a prenderti con la Mercedes?
Gaddo: Buonasera, Presidente, come sta?
S: Eeeeh, guagliò, facciamo subito il patto che mi dai del tu. Del lei si dà a chi rompe i coglioni.
G: D’accordo. Sai com’è, mi hanno educato fin da piccolo in modo abbastanza rigido.
S: E a me lo dici? Io ho studiato alla Nunziatella, figurati che educazione ho ricevuto.
La Nunziatella è un istituto militare napoletano di formazione scolastica secondaria, molto prestigioso. Più volte, nel corso della serata, tornerà fuori questo accenno alla sua educazione, al rispetto degli impegni presi e all’onestà intellettuale. Camuffata sotto mentite spoglie, dietro la maschera di un sorriso che non lo abbandona mai: nemmeno quando gli occhi gli si velano di tristezza. Comunque Alfredo Siani sa bene cosa lo aspetta, portandomi a cena fuori, e ribalta subito lo schema classico di qualunque intervista che si rispetti.
S: Tu vuoi sapere cosa penso della SIRM, vero?
G: Certo che lo voglio sapere.
A questa domanda non risponde subito, né risponderà durante la cena. Solo alla fine, in auto, di ritorno in albergo, la riformulerò e lui darà la risposta definitiva. In compenso ha immediato inizio la narrazione a fiume di eventi che posso riportare solo in minima parte, per motivi facilmente intuibili. Parto invece dai suoi esordi, di quando il martedì si faceva in auto la tratta Napoli-Cassino e ritorno per lavorare in una clinica privata.
S: Tenevo famiglia, Gaddo, non c’era molta scelta. Lavoravo anche da solo, a volte senza nemmeno il tecnico: non sai quante urografie ogni mattina. Due pazienti alla volta, facevo fare le dirette e gli strati e poi partivo con i contrasti. (ride) Questi vomitavano, figurati, coi contrasti ionici che c’erano allora. Alla fine guardavo i risultati e capitava che un in un esame non ci si capisse niente perché magari il Paziente aveva fatto un contrasto digerente pochi giorni prima e aveva l’intestino pieno di bario, e io manco avevo visto le dirette. Oppure facevo quindici stomaci in una mattina, o quindici clismi. Mescolavamo noi il bario, a mano, mica c’erano le confezioni monodose come ora.
G: Con il doppio contrasto?
S: No, figurati, questa era una tecnica che poi avrebbero cominciato a fare quelli di Genova. Io una specie di doppio contrasto lo facevo con gli stomaci, davo ai pazienti un alka selzer. (ride ancora) Quando gli altri appena cominciavano a fare ‘sta roba del doppio contrasto noi a Napoli già avevamo cominciato in modo artigianale.
G: Avevi anche altre attività?
S: Certo, le angiografie in un’altra casa di cura. All’epoca arrivavo, avvertivo l’anestesista perché i pazienti venivano addormentati, e facevo l’angiografia. Poi quando il paziente si svegliava era già arrivato il professore, così il paziente vedeva la sua, di faccia, e non la mia. Erano altri tempi, che ‘vvuò fa, cosa vuoi farci.
G: E poi?
S: Poi ho deciso che dovevo fare il primario, e sono riuscito a andare a Ischia. Ogni mattina pigliavo l’aliscafo e andavo sull’isola.
Quando parla dell’esperienza di Ischia gli occhi gli si illuminano. Io non riesco davvero a immaginarmelo giovane, entusiasta, chiuso in una prigione le cui sbarre erano fatte d’aria. Eppure lui invece parla benissimo di quel periodo.
S: Ci siamo divertiti, abbiamo dimostrato che non bisogna stare nel posto importante per lavorare bene e scrivere pubblicazioni e libri. Una volta c’era un’urgenza, sono arrivato in barca. Ho spiegato al paziente per filo e per segno che gli avremmo fatto l’angiografia e lui: Dottò, facite chello c’avite fa’ ma nun me dicete ‘cchiù niente, Dottore, fate quello di cui c’è bisogno ma non ditemi più nulla! (ride di gusto, e io con lui)
G: E poi?
S: Poi c’è stata Pozzuoli. A Pozzuoli stavo a casa mia, si erano creati bei rapporti con tutti, sono stati gli anni più belli. Quando poi mi sono trasferito al Pascale le cose sono diventate più difficili. Forse dovevo entrare a gamba tesa per risolvere i problemi, e invece ho provato a moderare. Tu ricordatelo sempre, che certe volte moderare non è proprio possibile.
Certo, a volte è davvero difficile non sbattere il pugno sul tavolo e urlare: adesso basta, si fa così perché lo dico io. Ma poi, e anche lui mi è sembrato d’accordo, la strada che da’ maggiori soddisfazioni non passa necessariamente per l’autocrazia o per le scenate di corridoio. L’ho sempre pensato anche io: avere una visione non basta, se non sei in grado di condividerla con i tuoi collaboratori e condurli con te verso l’orizzonte che hai pensato di scorgere. Ma lui, con qualche anno in più sul groppone rispetto al vostro cronista, è di certo più disilluso. Parliamo di una nota personalità radiologica italiana, che lui stima moltissimo, e per qualche secondo si incupisce.
S: Lui è veramente di un altro livello. Se mia figlia volesse fare radiologia la manderei a studiare nella sua Scuola, probabilmente, Però lo vedi, no? In lui la scorgo benissimo, la vera solitudine del capo. Quando sei lassù in alto sei solo per forza. Io però ho un altro carattere.
Alfredo Siani, quando parla della figlia, perde qualunque genere di barriera emotiva. Il sorriso gli si apre naturale sotto gli occhi furbi: accadrà molte volte, durante la nostra chiacchierata.
G: Me ne sono accorto alla sessione del Radiologo Invisibile. A te piace ancora quella roba lì, ti piace stare sul palco e anche quello che segue la sessione, no? Infatti volevo venirti a salutare, ma tu eri molto impegnato.
S (sogghignando): Fingevo di essere impegnato, è il mio animo di attore. Quello che farò da grande.
Sembra un luogo comune, ma ogni buon napoletano deve essere un bravo attore: è la differenza qualitativa sostanziale tra un napoletano doc e un povero casertano di provincia come me, tagliato a spigoli e più adatto ai climi calvinisti che a quelli mediterranei. Una dote, peraltro, che gli invidio oltre misura. Ma c’è un altro argomento che riesce a fargli virare l’umore: il Cardarelli, l’amore della vita mai realizzato. Quando ne parla ha lo sguardo e la voce dell’innamorato perso.
S: Eh, il Cardarelli è il Cardarelli, non c’è niente da fare. Non era il destino mio.
G: E la SIRM, invece?
S: Sono partito a fare il consigliere, poi ho fatto il vicepresidente. Alla fine anche il Presidente, io non me l’aspettavo e forse qualcuno pensava che fossi più manovrabile. Invece a me nisciuno m’o dice, chello ch’aggia fa’, nessuno può dirmi cosa fare.
G: Come è andata? E’ incredibile come ricordi tutto nei minimi particolari, hai una memoria pazzesca.
S: Non è questione di memoria. E’ che ho ricevuto parecchi sgarbi, e gli sgarbi non si dimenticano. Però ho cercato lo stesso di fare un sacco di cose, e alcune insieme al mio consiglio sono riuscito anche a portarle a termine. La Casa di Roma, per esempio, in tanti erano contrari.
G: E questo congresso SIRM, a Napoli? Il primo giorno sono morto dal caldo, il secondo faceva così freddo che non riuscivo nemmeno a parlare in aula, durante la mia presentazione.
S: E ti sta bene! Io ho alcuni amici del nord che, non potendo lamentarsi di nulla, si sono lamentati del caldo. Bene, il buon Dio ha provveduto a far piovere e a fare fresco. Ma ovviamente le critiche non si sono fermate, e allora le aule erano troppo piene, coi ragazzi seduti a terra, o troppo vuote, o non abbastanza insonorizzate! O la mostra tecnica era troppo grande! Allora ti voglio dire il commento di mia figlia appena laureata in medicina, lei non farà la radiologa, che non era mai stata a un congresso così importante. Sai che ha detto? Papà, questo congresso è bellissimo!
Però devo ammettere, da umile cronista, e lui mi farà un cazziatone che non finisce più per averlo scritto, che alcune delle obiezioni poste non erano peregrine. Giovedì mattina ho parlato di torace in un’aula da cento posti che era gremita all’inverosimile, con persone che premevano fuori per entrare, e si schiantava dal caldo. Il giorno dopo, nell’aula interattiva, l’esatto contrario. In ogni caso parliamo ancora della SIRM, della sua storia, del carattere di alcuni suoi protagonisti degli ultimi anni: sono considerazioni che rimarranno personali, per ovvi motivi, e non potranno mai essere rese pubbliche. Intanto ci avviciniamo all’albergo.
S: Allora, t’è piaciuta ‘sta pizza, ti è piaciuta questa pizza?
G: Certo che mi è piaciuta, a Treviso mica le fanno così buone. Ma c’è un’ultima cosa che vorrei chiederti.
S: Quale?
G: Mi dici perché, dopo tutto quello che è successo, tu sei ancora così legato alla SIRM?
Alfredo Siani, per la prima volta in tutta la piacevole serata, diventa irrimediabilmente, categoricamente serio. Gli occhi gli si fanno di pietra calcarea: mi guarda per qualche secondo senza parlare, poi finalmente risponde.
S: La SIRM è un’istituzione seria, e io sono stato educato a credere nelle Istituzioni. Le persone passano, ricordatelo, ma l’istituzione rimane.
Ci stringiamo la mano, facciamo la foto di prammatica. Lui ha per me un ultimo sorriso ironico.
G: Buonanotte, Presidè.
S: Domani al congresso copriti! E la prossima volta che vieni a Napoli porta tua moglie e i bambini, che ci penso io a farli divertire.
(Napoli, 18/09/2016)