La terza giornata di congresso ci ha regalato, chi c’era sa di cosa parlo, David Hansell: un signore inglese che è per il polmone radiologico l’equivalente di Messi per il Barcellona, ossia un fuoriclasse assoluto.
Mentre lo ascoltavo, rapito, parlare della nuova classificazione delle patologie polmonari diffuse, una parte di me rifletteva sui massimi sistemi e si poneva domande sostanziali. Tipo: perché David Hansell è così dannatamente convincente quando parla di polmone? Perché noialtri gente comune non lo siamo altrettanto, e talora in modo persino imbarazzante?
Per rispondere devo fare il punto della situazione, però, e quindi scusatemi se ripeterò concetti già espressi in passato. Cominciando da uno: venti anni fa, quando ebbi la ventura di vincere il concorso per l’ingresso in specialità, non esisteva Internet e l’accesso alle informazioni mediche era, semplicemente, limitato. Esempio: senza che io abbia mai compreso il perché, il mio Direttore di Scuola non permetteva agli specializzandi l’accesso libero alla biblioteca, dunque a libri e riviste. Biblioteca sprangata. E in più il Direttore si incazzava parecchio se, nei tempi morti senza esami da svolgere o refertare, ci vedeva seduti alla scrivania con un libro di Radiologia in mano. Morale: mi sono letto il Resnick e l’Emmett chiuso nel cesso di reparto o al sicuro della diagnostica 3, quella delle urografie, dove il pomeriggio non entrava mai nessuno e con la mia amica e collega Silvia a farmi da palo. Quello che voglio dire è che nell’anno domini 1994 il mio problema, in qualità di specializzando, era come procacciarmi le informazioni che mi sarebbero state utili. All’epoca inoltre, la Radiologia era una disciplina molto meno complessa di oggi: in una frase, c’erano in giro meno informazioni e molto ben nascoste.
Oggi il destino ci ha fatto dono di Internet, dunque dell’accesso quasi illimitato alle informazioni; al punto che ne possiamo fare indigestione, qualunque sia l’argomento che ci sta a cuore. Infatti il nostro problema principale (di specializzandi, ma anche di medici fatti e finiti) si è ribaltato: come distinguere, nella messe di informazioni disponibili, quelle davvero utili da quelle ridondanti? E poi: una volta scelte le informazioni, come metterle insieme per dar loro un senso compiuto? Sembra un’impresa facile, messa così, ma facile non è quasi per nessuno. L’approccio difficoltoso che molti miei colleghi hanno con la risonanza magnetica, cito giusto per fare un esempio banale, discende in linea diretta da questo problema: se cerchi informazioni tecniche sulla fisica della RM e sulle principali sequenze ne trovi finché vuoi, ma quante sono facilmente intelligibili dai più o hanno un reale e immediato impatto nella nostra vita di radiologi da trincea? Poche, pavento; e se a questo aggiungiamo la buona dose di pigrizia che ci contraddistingue come sottospecie medica, il risultato è che ben pochi, sul territorio nazionale, sanno esattamente cosa stanno facendo durante il loro turno di risonanza magnetica e sono in grado di dire al tecnico cosa fare e cosa non fare in quella data circostanza.
Il nodo cruciale del discorso, di cui ho già parlato tante altre volte su questo blog, è che quando si va a parlare in un congresso, ospiti o organizzatori, il difficile è discostarsi dal metodo classico delle presentazioni italiane: quelle a cui siamo stati abituati fin da piccoli, e che ricalcano un metodo didattico vecchio almeno quanto la Radiologia stessa. L’elenco dettagliato dei quadri TC delle patologie infettive polmonari, per dire, lo si trova ben fatto su qualunque rivista di settore. Sentirmelo ripetere da un’oratore che probabilmente non soltanto non ha confezionato con le proprie mani l’intervento, ma nemmeno si occupa quotidianamente di quell’argomento, è sconfortante. E accorgersene è un attimo: tu apri bocca e l’uditorio ti ha già sgamato.
Il guaio però è anche quando l’oratore ha una sua competenza peculiare sull’argomento, ma non riesce a staccarsi dallo schema classico causa-effetto che costituisce l’architrave, a volte croce e a volte delizia, del nostro pensiero scientifico occidentale: si possono dire cose giuste e sacrosante, ma dirle male e perdere in breve tempo l’attenzione dell’uditorio. La didattica vera è altra cosa, si nutre di inventiva, metafore ardite, figure retoriche; la didattica deve essere esplosiva, sorprendente, avere come scopo che chi ascolta torni a casa senza ricordare la faccia dell’oratore, ma con stampati in mente quei due o tre concetti chiave che non lo abbandoneranno mai, dovesse campare cent’anni.
A questo punto, finalmente, la risposta alla domanda di partenza: perché uno come David Hansell è così dannatamente convincente quando parla di polmone? La risposta è semplice ma non così scontata, almeno nel nostro ambiente scientifico: Hansell il polmone lo conosce di persona, ci ha passato anni interi insieme, si è posto tutte le domande possibili prima degli altri e a molte ha dato una plausibile risposta. Quando Hansell parla della nuova classificazione della malattie polmonari diffuse il gusto non sta nell’argomento specifico di cui tratta, e del quale possiamo cogliere molto meglio le sottili sfumature leggendo il suo recente articolo su Radiology e senza recarci in pellegrinaggio a Verona o a Londra, ma nel Metodo con cui affronta il problema. Il Metodo, l’ho detto mille volte, si impara da un Maestro; ma poi si affina con il lavoro quotidiano, l’impegno, la curiosità quotidiana, e lo possiedi solo se possiedi una sufficiente quantità di ingegno, che invece è dote di natura. Hansell, pur nell’inglese ostico (almeno per me) dei londinesi, ha fatto brillare l’aula della luce del suo Metodo: esprimersi con quella semplicità su un argomento così complesso non è comune e sottende tutte intere le virtù di cui ho parlato finora. Al punto che, in linea puramente teorica, sarebbe possibile utilizzare il modello della sua presentazione per qualsiasi altro possibile argomento radiologico (e non).
Sono contento che quel giorno, a Verona, ci fossero tanti giovani specializzandi ad ascoltarlo: la lezione magistrale che abbiamo ricevuto tutti non è di Radiologia ma di vita. Ed è una lezione in assoluta controtendenza rispetto a un sistema, quello italiano, che invece tende da troppi anni a premiare l’assenza di Metodo: purché sia funzionale agli scopi di chi tira le fila del teatrino e non minacci la presunta leadership sull’argomento di nessuno.