Fonte: lastampa.it del 30/11/2012.
Signor Presidente del Consiglio, riporto dalla fonte citata alcune frasi che Le sono state attribuite sul seguente argomento: “Servizio sanitario nazionale sostenibile non significa privatizzare”.
Affermazione n. 1. “Affermare la necessità di rendere il servizio sanitario pienamente sostenibile non ha nulla, proprio nulla a che vedere con la logica della privatizzazione”.
Affermazione n.2: “L’eccellenza sta anche nel pubblico e non sempre il privato è immune da scelte non ispirate alla competenza”.
Affermazione n.3: “La scelta dei migliori e dei più capaci, specie tra i medici, non può essere offuscata da logiche di appartenenza, vicinanza o amicizia”.
Affermazione n.4: “Il valore della salute pubblica, requisito irrinuciabile di sviluppo sociale e di convivenza civile, va preservato anche per il futuro, il che è possibile solo introducendo le innovazioni e gli adattamenti che la situazione nel tempo richiede”.
Affermazione n.5 (ministro Balduzzi): ” Gli adattamenti per la sostenibilità del SSN sono un’esigenza implicita a ogni sistema sanitario nazionale, e che il nostro persegue secondo logiche di un sistema pubblico con l’integrazione di tutte le forze, comprese quelle private che entrano dentro la logica del servizio sanitario nazionale”.
Mi perdonerà, signor Presidente, ma a leggere queste frasi virgolettate mi si riacutizzano vecchi problemi di digestione. Intanto, viene usata troppe volte la parola “logica”: la logica della privatizzazione, la logica di appartenenza, la logica dell’integrazione pubblico/privato, la logica del SSN. Per esperienza personale, tendo a considerare questo uso pletorico della parola “logica” come l’anticamera di una fregatura; ma questo è un mio problema, pavento.
Qual’è il problema generale, allora? Il problema è che le affermazioni n.1 e n.4, e ancora di più la n.5 del ministro Balduzzi (sempre più forte la curiosità di sapere chi gli scrive i testi, al nostro beneamato ministro) sono in evidente contraddizione. O la sostenibilità del SSN ha a che fare con la privatizzazione, o non ha nulla a che farci. Se non ha nulla a che farci, smettiamola di parlarne, rimbocchiamoci le maniche e vediamo di ridurre gli sprechi del settore che, Le garantisco per la nobile professione che conduco quotidianamente, sono incredibilmente numerosi e dovuti per lo più all’insipienza di chi governa il motore a livello locale o nazionale. Se invece ha a che farci pretendo di sapere, da operatore sanitario ma tutto sommato anche da semplice cittadino, quali sono “le innovazioni e gli adattamenti che la situazione nel tempo richiede” (affermazione n.4). Personalmente, ho la presunzione di aver negli anni familiarizzato con la lettura, tra le righe fumose, del burocratese: e nutro la sensazione che quello a cui Lei accenna, tra le righe, corrisponda a ciò che subito dopo afferma Balduzzi, ossia che le forze private entreranno nella logica del SSN. E che dunque la sanità sarà più o meno privatizzata. Viene sempre elegantemente glissato l’argomento più pratico che riguarda il come e in che misura si voglia privatizzare la nostra sanità, ma il punto cardine della faccenda mi sembra questo.
Adesso, io l’ho ripetuto davvero fino allo sfinimento: la sanità, in un paese civile e di persone che più o meno pagano le tasse, dovrebbe essere un servizio dovuto e, mi scusi il cattivo francese, già il ticket di 46 euro mi fa girare i maroni. Ma c’è anche un altro aspetto della faccenda: il privato, per definizione, deve fare soldi. Schei. Danè. Franchi. Dollars. Non gestisce un’opera pia, non è animato da istinti filantropici. Il privato, per definizione, i soldi deve farli anche se la qualità del lavoro viene in qualche misura sacrificata. Noi italiani non viviamo in un paese anglosassone, dove la concorrenza si fonda sulla qualità degli operatori, ma in Italia: luogo ameno dove il privato, mediamente, presenta diversi livelli di connivenza con i politici locali e può influenzarne le scelte. Anche quelle, paradossalmente, riguardanti la sanità pubblica.
E allora, mi perdoni l’ardire, la Sua affermazione n.2 è tendenziosa: chiunque lavori in sanità sa bene quale equilibrio di valori ci sia mediamente in campo tra pubblico e privato. Chiunque abbia a che fare con questo mestiere sa altrettanto bene che spesso l’unica maniera per lavorare in modo adeguato è in un ospedale pubblico: dove ci sono colleghi competenti con cui affrontare i casi clinici, gli stimoli culturali per crescere, i pazienti che puoi seguire nel tempo sapendo sempre come andrà a finire. E che se a un medico questo mestiere piace, l’ultima cosa che gli verrà di fare è rifugiarsi a far quattrini in una struttura privata: dove magari guadagnerà cinque volte tanto, ma dovrà rinunciare a tutto il bello del mestiere di medico, ossia alla Qualità del proprio lavoro.
Uno statista come Lei, insomma, cadermi proprio su una buccia di banana del genere. Ma forse Lei voleva dire il contrario. Forse Lei intendeva dire che l‘eccellenza sta anche nel privato e che non sempre il pubblico è immune da scelte non ispirate alla competenza. Si, deve essere così: perché solo in questo modo si giustifica la Sua affermazione n.3 sulla scelta dei migliori e più capaci che non deve offuscata da logiche, ancora logiche, di appartenenza, vicinanza o amicizia.
E allora bisognerebbe capirsi bene, signor Presidente, specie quando si discetta tra statisti, e usare le parole con molta attenzione. Salvo che le parole non siano che un avvertimento, ecco, e non un solerte tentativo di chiarire il proprio pensiero.