Letti separati

di | 27 Settembre 2011

Ecografia.

Un signore anziano ma non troppo, e pure gentile, mi chiede se può entare in studio anche la moglie. Perché da queste parti, ormai l’ho imparato, la donna è talmente il nerbo della famiglia che se vuoi conoscere i sintomi di un paziente devi parlarne con sua moglie.

Io spiego tutto, a lui e a sua moglie; poi lui mi racconta brevemente di quando, da ragazzo, era emigrato in Australia (con le solite, prevedibili considerazioni sull’errore madornale di essere tornati: l’Australia, almeno all’epoca, doveva somigliare molto al paese di Bengodi).

Alla fine la moglie fa la faccia imbarazzata e chiede le mie origini. Io, che proprio altoatesino non sono, faccio un breve riassunto della mia storia di nomade: nato nel Regno delle Due Sicilie, a due passi dall’ultima roccaforte espugnata; emigrato per studio nel Ducato Estense; emigrato di nuovo per lavoro (e per amore) nella Repubblica Veneta. Lei mi guarda e dice, in dialetto del luogo e con voce timida: No, è che a sentirla parlare non si direbbe, lei parla così corretto, senza errori…

Adesso, io lo so bene che la signora con quella frase buttata lì voleva farmi un complimento e non una critica: tutto, dall’ingresso nello studio ecografico al saluto finale, si era svolto nella più totale cordialità. E infatti anche lei se n’è accorta: mentre parlava è arrossita, poi ha persino abbassato gli occhi. E io, ovviamente, l’ho presa per un complimento e non per una critica: sebbene qualcosa, in fondo alle mie viscere, si contorca e soffra quando qualcuno mi dice che ho perduto il mio bell’accento del Reame.

Ma non è finita qui: dopo essere uscito, il marito ha rifatto capolino nello studio e ha aggiunto: Sa, io ho tanti amici meridionali, ancora adesso ci sentiamo spesso, è tanto brava gente e siamo molto legati.

Io ho sorriso: perché quell’aggiunta non era necessaria, avevo capito da subito che non c’era nessuna malizia nelle considerazioni circa il mio accento. Ma ho sorriso amaro: perché sono passati centocinquant’anni, milioni di morti in guerra, milioni di emigranti, milioni di terroni e polentoni da una parte all’altra del Garigliano, e quasi nulla è cambiato. Restiamo tutti insieme come una vecchia coppia sposata: per abitudine di una vita, ma dormendo in camere separate. Azzuffandoci, a volte furiosamente: ma ormai abituati ognuno ai difetti dell’altro, e talvolta volendoci persino un po’ di bene.

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