Oggi è stato l’ultimo giorno di lavoro di una delle segretarie dell’ospedale del Fiume Grande. Lo ricordavo, ma non immaginavo che sarebbe passata a salutare tutti: per cui quando è arrivata non ero presente.
In questi sei anni in cui ho gestito un reparto e soprattutto molte persone mi sono accorto di una cosa: comprendevo pienamente la lezione che la loro presenza mi aveva impartito solo quando la pensione li portava via. E non si è mai trattato di considerazioni riguardanti le conseguenze organizzative della loro assenza, no: sto parlando di lezioni di vita legate proprio a loro, al modo di essere prima ancora che di lavorare.
La mia segretaria, e non si tratta di piaggeria, credetemi, è stata infaticabile. Lei come le altre: più l’organico delle segreteria si riduceva, e gli assenti non venivano sostituiti, più si davano da fare per tappare i buchi, garantire il servizio, mandare avanti la baracca. Questa capacità di lavoro silenzioso, questa dedizione alla qualità del servizio fornito, non si impara da nessuna parte: o ce l’hai dentro, come virtù connaturata ai cromosomi, o non ce l’hai. Lei ce l’aveva, e il mio solo dispiacere è che nel calderone infernale che è diventata la vita ospedaliera negli ultimi mesi e anni manchi quasi sempre il tempo e l’opportunità di celebrare come si deve la fine di una carriera lavorativa onesta e generosa.
Oggi pomeriggio, mentre me ne stavo a leggere in terrazza, è arrivato un messaggio whatsapp: era lei. E nel messaggio non soltanto ringraziava me per la cortesia, la pazienza e la disponibilità dimostrata in tutti questi anni, ma addirittura si scusava per le mancanze accumulate. Avete capito? Si-scusava-per-le-mancanze. E io ancora ricordo quando si faceva fatica a mandarla a casa, alle quattro del pomeriggio, perché durante la mattina in segreteria non c’era stato il tempo materiale di finire le liste di lavoro del giorno dopo.
Esiste una forma di umiltà, propria di poche persone, che in molti (in troppi) non sono in grado di comprendere. Scaturisce dalla gentilezza dell’animo, dall’onestà intellettuale, dall’amore per il prossimo. È un’umiltà che non si fa notare, non fa rumore, non ha bisogno di riscontri, e proprio per questo è così preziosa. Mi fa venire in mente un verso della Bibbia (Proverbi 29:23):
“L’orgoglio dell’uomo ne provoca l’umiliazione, l’umile di cuore ottiene onori”.
Credo che nulla rappresenti la mia segretaria come due versi antichi: perché alcuni vanno via in silenzio, ma tutti se ne accorgono. Altri invece vanno via facendo un baccano enorme, e nessuno se ne accorge.
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La canzone della clip è “Sogna, ragazzo, sogna” di Roberto Vecchioni, tratta dall’album omonimo del 1999.