Sapeste che giornate piene. Che corse, da quando mi sveglio e mi infilo in auto a quando si fa sera e metto a letto i bambini: che spesso riesco solo a farfugliare una parola di commiato a quella poveretta di mia moglie e poi defungo, senza dignitose alternative.
Però, al tempo stesso, sapeste che energia mi sorregge. Quanto entusiasmo può derivare da un lavoro a cui tieni e a cui ti appassioni di più ogni giorno che passa, oltre ogni precedente immaginazione. Piccoli passi per una strada lunga: che percorro da tre mesi e poco più, ma a volte mi sembra di non essere mai stato altrove e di non aver mai fatto altro.
Dell’altrove, invece, a volte mi mancano solo i colleghi: al punto che ogni tanto ne chiamo uno e ci faccio due chiacchiere, solo per sentire la loro voce. Ma non perché i colleghi di adesso siano da meno, assolutamente: è solo che dopo quattordici anni di trincea comune è normale, credo, concedersi un minuto di nostalgia personale ogni tanto. La nostalgia fa bene, è curativa.
Ecco perché poi, quando meno me lo aspetto, finisco per sentirmi come il Garibaldi innamorato della clip: Posso darti solo amore, canta l’eroe, tutto quello che vorrai.
Quella che sto percorrendo è una strada lunga e per arrivare alla fine ci vorrà molto amore. Tutto quello che ci vorrà, pavento.
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