Ma per ora rimani nell’anno del gatto

di | 12 Marzo 2016

Lo trovammo fuori dalla porta di casa: tra le molte porte, che volete, proprio la nostra. Avrà avuto al massimo tre mesi, stava nel palmo di una mano, ma sembrava un cucciolo con le idee già molto chiare.

Ragazzi, non permettetevi nemmeno di guardarlo, dicevo ai miei bambini quando imploravano di portarlo su e io pensavo ai casini inenarrabili che avrebbe comportato, in quel momento storico così particolare, la gestione di un animale domestico. Ma lui non aveva intenzione di desistere. Il pomeriggio seguente, ero al lavoro, arrivò una telefonata: L’abbiamo portato su, i bambini hanno insistito così tanto. E io pensai: Perfetto, è andata. Mi misi subito in moto per trovargli una sistemazione alternativa, pensando irritato che non mi servivano altre preoccupazioni oltre quelle che già covavo di mio.

La prima sera si rifugiò sotto la scrivania, nel ripiano dove tengo computer, iPad e varie borse da lavoro. Andai a prenderlo in braccio e lo poggiai delicatamente sul divano: lui si addormentò sulle mie gambe, come peraltro da allora ha continuato a fare con pervicacia imbarazzante. La mattina dopo mi alzai di buon ora, bevvi il caffè, mi sedetti sul divano e gli dissi: Ora che facciamo io e te? Il cucciolo si avvicinò, titubante, poi mi saltò sulle gambe e strusciò il suo naso sul mio. Sentii la mia volontà vacillare e pensai: Mi hai fregato proprio per bene, tu.

All’inizio ero convinto che fosse una lei, e non un lui. La prima volta che andammo dal veterinario miagolò tutto il tempo, e io a dirle dolcemente: Dai, tesoro, una visitina per vedere se stai bene, poi ti riporto a casa e ti faccio le coccole. Al ritorno, scoperto che era un maschio, musica completamente diversa: Che cacchio miagoli? I maschi non si lamentano per tre chilometri di automobile!

Come molti di voi sanno, i gatti nell’antico Egitto erano considerati animali sacri ed erano collegati addirittura al culto di una dea, il cui nome era Bastet. E, come sanno tutti quelli che convivono con uno di loro, i gatti vedono diversamente dagli umani e in un certo senso sanno vedere oltre: voi pensate che lui se ne stia sul divano, mezzo rincoglionito, a fissare il nulla, e invece il gatto contempla l’infinito che i nostri poveri cinque sensi umani non riescono più a cogliere da eoni. Un’altra leggenda egizia narra che il gatto cerca un compagno umano quando quella persona ha bisogno di essere curata: una cosa è certa, il mio gatto è stato preciso nella diagnosi e parecchio più lungimirante di me. Avevo bisogno di essere curato, quando si è fatto vivo, e ancora di più ne avrei avuto bisogno qualche mese dopo.

Così, lui adesso convive con la mia famiglia. Un gatto non è un cane, non cerca un padrone e non gli giura fedeltà fino alla fine dei tempi; un gatto non morirebbe mai di crepacuore se il padrone dovesse decedere e non si lancerebbe nei flutti impetuosi di un fiume in piena per salvargli la vita. Il gatto ti fa una proposta molto semplice: di dividere con lui il tuo spazio, ognuno mantenendo le sue libertà e personali inclinazioni. Tu ti occupi del suo vitto, lui ti cura. Tu lo coccoli quando ha voglia e lui ti ricambia con le fusa, che come è noto hanno una frequenza di vibrazione tra i 20 e i 140 Hz (la quale sembrerebbe giovare alla salute umana, in generale, e al nostro umore, in particolare). E siccome può letteralmente scomparire dalla tua vita senza alcuna fatica, se solo lo volesse, tu sai che se il gatto rimane con te è perché desidera ancora la tua compagnia, o ritiene che la tua cura sia a lungo termine.

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Quando ci svegliamo, la mattina, a volte il gatto per motivi incomprensibili mi cammina addosso per qualche secondo. Zampettando preme punti che al momento mi fanno un male bestia, ma quando finisce la sua strana cerimonia io sono una molla, pronto ad alzarmi dal letto e cominciare la giornata. Una volta mi ha svegliato facendomi strane pressioni sul palmo della mano destra, ogni pressione una fitta di dolore che non vi dico, poi però mi è passato il mal di testa.

Magari sono io che mi invento tutto, e diciamo pure che mi piace pensare che la storia che vi ho raccontato abbia un fondamento scientifico che al momento non riesco a trovare e di cui non esiste alcuna prova. So però una cosa, e la so per certa: quando sono triste lui se ne accorge. Quando mi illanguidisco, e ultimamente mi commuovo anche guardando su YouTube i filmati dei musicisti di strada, lui non mi molla un secondo, mi segue come un’ombra, zampetta tra le mie gambe; e a volte è un miracolo se non inciampo nella sua coda e rovino a terra, specialmente di notte quando mi alzo per andare in bagno e nemmeno apro gli occhi.

Che poi vado in giro a occhi chiusi anche di giorno, di questi tempi, ma questa è tutta un’altra storia.

La canzone della clip è “The year of the cat”, dall’album omonimo del 1976 di Al Stewart. Una canzone dal testo sorprendente, devo ammetterlo, proprio come il mio gatto.

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