Manifesto programmatico del senso di colpa

di | 27 Gennaio 2010

Il mio collega, oltre che un bravo radiologo, è una buona persona.

Perde (o impiega, a seconda del punto di vista da cui si valuta il fatto) molto del suo tempo a parlare con i pazienti: spiega tutto, si infervora, partecipa. Raramente dice di no ai colleghi che gli richiedono esami urgenti, anche quando si tratta di malcelate pseudourgenze.

Ma un pomeriggio proprio non ce la fa: ha una lista interminabile di pazienti in attesa perchè le urgenze sono state molte e si sa, le urgenze se ne fregano del lavoro programmato. Per cui, quando gli arriva l’ennesima urgenza che recita: Tac per neoplasia pancreatica, proprio non ce la fa a dire di si. Chiama il reparto, discute con il collega circa la non sussistenza di qualunque criterio che giustifichi il foglio bianco dell’urgenza, programma l’esame per il giorno dopo e si mette il cuore in pace.

Di lì a poche ore il paziente, da settimane appeso a un filo di vita per una patologia tumorale peraltro già nota in ogni suo dettaglio, decide di togliere il disturbo. Il collega lo chiama e gli dice, acido: Sai il paziente a cui prima non hai voluto fare la tac? Beh, adesso è morto.

Adesso, io capisco che il moderno orientamento della medicina nazionale (non so all’estero, ma credo sia uguale) prevede istituzionalmente che la radiologia abbia poteri non solo diagnostici ma anche terapeutici; ma da qui a permettersi di fare la paternale per una richiesta del cavolo inevasa e rimandata al giorno dopo, e che non avrebbe modificato di un decimillimetro o di un nanosecondo le sorti del povero paziente, ce ne passa. E parecchio.

Nessun radiologo si dovrà mai sentire in colpa per le insicurezze congenite di un chirurgo, un geriatra, un dermatologo o consimili.

Questo è un impegno. O un manifesto programmatico, se preferite.

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