Marina alla guerra (repost)

di | 4 Novembre 2012

Si, oggi sono proprio incazzato. E voglio spiegarvi per filo e per segno il perché: spero che mi perdoniate il turpiloquio che sicuramente alternerò a frasi di senso compiuto; ma alle volte, e questa è proprio una di quelle volte, quando ci vuole ci vuole. Peraltro, lo dico subito così non ci penso più, mi scuso con la involontaria protagonista del mio post: questa sarà la prima volta, e credo anche l’unica, in cui risponderò pubblicamente a una lettera privata senza chiedere prima formale autorizzazione allo scrivente. Lo faccio perché il tema che tratterò travalica di parecchio la vicenda da cui trae origine e in un certo qual senso, grottesco e paradossale e drammatico quanto volete, lo sublima.

Allora, è questo che capita: subito dopo cena il fido iPad, mentre sto sistemando la cucina, mi avvisa che è arrivata una nuova email. La apro e scopro che a scrivermi è Marina, vecchia conoscenza del blog: una studentessa prossima alla laurea in medicina che fin dal terzo anno di corso mi aveva raccontato con parole commoventi ed entusiaste la sua insana passione per la radiologia, condividendo con me sogni e speranze per il futuro.

I guai, per Marina, sono cominciati nel momento in cui si è recata dal professore per chiedere la tesi: lì a quanto pare è cominciato un balletto di puntini sospensivi, rinvii a tempi migliori, disponibilità lasciate in sospeso (in questo alcuni professori universitari sono maestri assoluti di sadismo: per esempio, in molte scuole sono leggendarie le attese bibliche, sul divano di fronte allo studio, che l’esimio conceda una udienza di cinque miserabili minuti). Un balletto che si è concluso un anno dopo, quando il professore le ha detto con gelida e inoppugnabile chiarezza che la tesi per lui era un grosso impegno, dunque meglio se Marina l’avesse chiesta altrove.

Lo dirò senza girarci intorno: sono furibondo, incazzato nero, non ci vedo più dalla rabbia. Io non so chi sia l’esimio in questione, non l’ho chiesto a Marina e credo che non glielo chiederò perché, dovessi mai conoscere la sua identità e incontrarlo mentre pontifica in giro per congressi nazionali, proprio non saprei esimermi dal mandarlo pubblicamente affanculo. Mi chiederete: ma perché te la stai prendendo così a cuore per una ragazza che nemmeno hai mai visto in faccia? Beh, perché è in storie come queste che si consuma il dramma del nostro disgraziato paese: in loschi individui che rivestono posti di grande responsabilità e, semplicemente, non fanno il loro dovere. Ossia, detto papale papale, se ne fottono. Voi avete idea di che enorme, titanica, quasi insopportabile responsabilità comporti il mestiere di insegnare qualcosa a qualcuno? Che si tratti di un lavoro manuale o di una materia scolastica, che si tratti di una scuola materna, di un istituto tecnico o della più prestigiosa università nazionale, non fa alcuna differenza: contano solo il maestro e l’alunno. E se l’alunno talvolta può permettersi di svaccare (l’alunno è giovane, immaturo, inesperto per definizione) il maestro no, la sua condotta deve essere assolutamente impeccabile e il suo esempio cristallino. La scelta di diventare un Maestro è la più difficile di tutte perchè presuppone la presa in carico della formazione culturale di un giovane, una assunzione di responsabilità probabilmente superiore anche a quella di un genitore: il genitore lo fa perché deve, il maestro lo fa perché vuole. In quel vuole c’é tutta la differenza e, per estensione, la passione che dovrebbe animare chi compie una scelta del genere.

Adesso, nelle università si sta formando la classe dirigente del domani. I ragazzi sono per lo più motivati: in quegli anni si stanno giocando il futuro e specie di questi tempi loro lo sanno bene. Gli studenti hanno fame e bisogno di guide autorevoli: ricordate anche voi l’entusiasmo di partecipare alle lezioni del professore autorevole e la noia di partecipare a quelle del professore stolido e demotivato? Lo ricordate o no quel senso di frustrazione che vi attanagliava la gola quando uscivate da lezione senza sentirvi per nulla arricchiti? E non sto parlando solo di nozioni utili per il futuro lavoro, no: sto parlando di metodo, di un sistema intellettuale che insegni alle persone a pensare meglio e a usare la propria intelligenza in modo proficuo.

Ecco perché mi incazzo così tanto. La tesi è un grosso impegno? Certo che è un grosso impegno, imbecille: ma è l’impegno per cui sei pagato, è l’impegno che tu stesso hai scelto di assumerti scegliendo l’insegnamento e non per esempio il nobile mestiere della coltivazione diretta. E non è l’unico, porca miseria. Perché tra gli altri, riporca la miseria, dovrebbe esserci quello di distinguere il grano dal loglio, ossia quelli che vengono a chiederti la tesi perché sinceramente appassionati della tua disciplina e gli altri, quelli che appassionati non sono né lo saranno mai e il loro destino è di diventare mediocri professionisti. L’impegno dovrebbe anche essere quello di tenere un posto libero oltre a quelli che sei costretto a distribuire ai figli degli amici di amici, perché quel posto potrebbe essere l’unico per cui varrà la pena di insegnare quello che sai.

La morale di questa storia è la seguente: l’esimio ha perduto una futuribile specializzanda che avrebbe sicuramente dato lustro alla sua scuola, ammesso che quel luogo meriti una denominazione così ambiziosa. Rischiando di perdere in senso più ampio un’altra risorsa di questo paese devastato: perché Marina è forte, prende il coraggio a piene mani e non sarà di certo un idiota con il titolo accademico a stroncare la sua corsa verso ciò in cui crede; ma non tutti sono forti come lei, ecco dove si annida il vero danno che questi individui arrecano ai loro studenti venendo meno ai compiti che gli spettano per legge e soprattutto per etica.

Come cavolo si fa a negare una tesi a uno studente? E perché mi tocca leggere la sfilza di “basta” che Marina ha inanellato per spiegarmi i perché e i percome della sua decisione drastica, ossia lasciar perdere la radiologia? Provate a leggere anche voi, e poi sappiatemi dire.

“Basta perchè mi ha fatto arrivare all’esasperazione, basta perchè mi ha illuso per più di anno, basta perchè uno così non ha niente da insegnarmi, basta perchè credo che se fossi nata maschio le cose sarebbero andate diversamente… Mi sono rivolta altrove e ho trovato disponibilità, attenzione e interesse per il mio futuro”.

Ecco tutto. Io non credo che chiunque abbia le carte in regola per raggiungere qualsiasi meta si sia prefissato, e sono tra quelli a cui piacerebbe molto una selezione onesta nelle vicende della vita: chi non ce la fa non deve arrivare per forza fino in fondo, magari non è quella la sua strada e gli si fa persino un piacere. Ma che tutti debbano avere almeno una opportunità nella vita, beh, questo lo pretendo e non mi sembra di chiedere troppo. È un discorso che ha le stesse modalità della crisi economica in cui ci stiamo dibattendo: alle persone puoi levare il benessere a cui erano abituate, farle sopravvivere in condizioni di incertezza continua, costringerle a ridimensionare i propri bisogni, e loro ce la faranno lo stesso ad andare avanti. Quello che non puoi fare è togliere loro la speranza: è un crimine contro l’umanità. Come tale andrebbe perseguito.

E quindi se il carico di una tesi di laurea ti sembra troppo faticoso, caro il mio esimio, forse é giunto il momento di cambiare mestiere e smettere di romperci i coglioni.

E questo è quanto.

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