Come sa bene chiunque abbia a che fare con i bambini (io per questioni mediche, principalmente; ma anche per questioni legate alle amicizie, se così si può dire vista la tenera età, dei miei figli), in questo paese il nome di battesimo sta
diventando un grosso problema.
Lasciamo perdere per un attimo i nomi esotici che ho sentito urlare in spiaggia nel corrente mese di agosto (i vari Kevin, Samuel e compagnia bella), e concentriamoci su quelli più comuni. Si sa che i nomi vanno a mode: quando ero ragazzo io c’erano in giro più Marchi e Alessie che rondini in primavera. Adesso, due volte su tre, quando un bambino arriva in ospedale e prende la strada della radiologia, si chiama Mattia. Del restante terzo dei casi, siccome la fantasia è al governo, una bella fetta se la prende Matteo. Sul versante femminile è uguale: due su tre si chiamano Elena o Emma.
Per cui già mi prefiguro classi scolastiche del futuro in cui dieci bambini su quindici si chiameranno Mattia o Elena (gli altri cinque saranno extracomunitari, probabilmente, o con genitori alternativi), e i cui insegnanti per interrogarli saranno costretti a chiamarli per cognome (cosa che già alle elementari mi angustiava: a scuola odiavo essere chiamato per cognome). Il che, paradossalmente, già accade nella mia esperienza quotidiana. Siccome parecchi dei miei amici hanno chiamato il figlio Mattia, quando io e mia moglie parliamo con il nostro bambino ci tocca specificare: Mattia Rossi, o Mattia Bianchi, o Mattia Neri. Non vi dico l’imbarazzo delle uscite in comitiva: al grido di “Mattia” si voltano almeno tre o quattro bambini.
Il post, pertanto, è tutto per quei genitori che aspettano un bambino. C’è tanta poesia in nomi comuni come Maria o Antonio: non ve la fate scappare. E poi, sapete come si dice: meglio un Enrico o un Paolo oggi che un Mattia domani.