Sabino, collega e ormai amico storico di questo blog, ogni tanto mi invia qualche spunto di riflessione. Colgo volentierissimo, sebbene con qualche giorno di ritardo, l’ultimo: che riguarda, udite udite, il processo a 20 medici di medicina generale (il nome tecnico e spersonalizzante del vecchio medico di famiglia) della provincia di Frosinone per la richiesta di prestazioni radiologiche incongrue.
Questo è il link.
La notizia è di quelle con il botto, perché lasciano intendere che qualcosa si stia muovendo anche su questo versante: che è un versante ripido e pericoloso. Nonché responsabile di buona parte degli sprechi sanitari: specialmente, ma non solo, in ambito radiologico. Finalmente anche fra i cosiddetti addetti ai lavori cresce la consapevolezza che le liste di attesa non possono essere abbattute, e non lo saranno mai, aumentando il numero delle prestazioni, ma riducendo quello delle prestazioni inutili (e spesso dannose).
Eppure, contrariamente a quanto molti lettori forse stanno pensando, questo post non sarà l’ennesimo atto di accusa verso una categoria professionale già di suo in pesante difficoltà. Perché i medici di medicina generale non fanno (quasi più) i medici, questo è quello che di loro si pensa in giro: la riflessione è solo in minima parte dei colleghi ospedalieri, e soprattutto dei pazienti che in ospedale afferiscono quotidianamente. Nel mio reparto esiste un sistema ben oliato di monitoraggio delle richieste per prestazioni radiologiche: in buona sostanza un radiologo, a turno, se le scartabella tutte e su una buona percentuale decide, secondo la legge che gliene fornisce piena facoltà, che gli esami richiesti sono incongrui e possono essere sostituiti da altri meno invasivi e/o costosi. E’ un lavoro lungo e faticoso, spesso noioso, che costringe il radiologo a contattare direttamente il medico di famiglia; ma che regala i suoi frutti sulla lunga distanza.
Spesso si riesce a ragionare insieme: il medico di medicina generale recepisce le obiezioni, chiarisce a voce i suoi sospetti meglio di come l’abbia fatto per iscritto e di comune accordo si riesce a modificare la direzione della richiesta senza grossi problemi. Altre volte no, e le resistenze sono di vario tipo. Le tre più frequenti sono legate a problemi di inerzia (“io ho soltanto trascritto la richiesta della specialista”), inutile e sterile orgoglio (“invece credo che sia proprio quello l’esame corretto da chiedere”) ed esasperazione (“e la millesima volta che quel paziente mi chiede di fare l’esame, non so più in che altro modo levarmelo di torno”). Tutte e tre presuppongono in misura differente l’abdicazione ai doveri di medico, ma è sull’ultima, in particolar modo, che vorrei soffermarmi.
L’ultima volta che ho discusso telefonicamente con un medico di medicina generale, circa la non congruità dell’esame radiologico richiesto, mi sono sentito riversare addosso una geremiade circa i rischi medico-legali che la sua categoria corre ogni giorno: in sostanza, la questione verteva sull’evidenza che se un medico di famiglia si rifiuta di prescrivere un esame rischia la denuncia. Il che è falso e tendenzioso. Tendenzioso perché vale solo come giustificazione formale al rifiuto di svolgere il proprio mestiere secondo scienza e coscienza (perché primo, non nuocere; poi tutto il resto). Falso perché esiste un sentiero luminoso grazie al quale ogni medico, se lo percorre con intelligenza, non rischia di perdersi: quello delle cosiddette linee guida. Se si seguono le linee guida, ossia se in ogni circostanza si adotta la strategia scientificamente e unanimemente ritenuta più corretta, da un punto di vista medico-legale i risultati hanno importanza relativa (sembra un paradosso, ma la medicina d’altronde non è una scienza esatta) e il medico è inattaccabile.
Insomma, quello che voglio dire è che in questo periodo tutti annaspiamo: in modi differenti, per motivi differenti, con conseguenze molto differenti. Non fa piacere a nessun medico che un suo collega finisca alla sbarra, anche se ha commesso errori: quello che infastidisce è che sull’argomento non ci siano ancora indicazioni chiare da parte di chi dovrebbe fornirle. Chi deve decidere l’iter diagnostico di un paziente? Quale specialista ha la competenza necessaria per scegliere l’esame radiologico più adeguato in ogni circostanza? E perché è così raro che i casi clinici vengano affrontati da equipe multidisciplinari (alle quali, perché no, potrebbe afferire anche il medico di famiglia)?
I quesiti sono chiari; e le risposte, se me lo permettete, anche.
Gli unici con le idee confuse sono i politici. E spesso anche i tecnici che alla politica si prestano così volentieri.