Io non mi riesco più a vedere vecchio. Non riesco più a immaginarmi rugoso come una tartaruga, piegato in due dall’artrosi, sveglio alle cinque di mattina e incapace di riaddormentarmi, non mi ci vedo a prendere una quindicina di pastiglie al giorno per il cuore e la pressione e il colesterolo e tutto il resto, a non riuscire a suonare la chitarra perché le dita mi tremano o a leggere un romanzo con troppa pena perché, semplicemente, non ci vedo più abbastanza. Deve essere insomma successo qualcosa, nella mia vita, che ha reso miope la mia visione del futuro e mi lascia mettere a fuoco solo un tempo piccolo davanti al mio rapido presente.
Tutto il contrario di Tullio, 85 anni, capelli candidi e occhi chiari come il cielo: che entra in diagnostica ecografica e comincia a infilare una battuta dopo l’altra con l’energia di un comico di Zelig, lasciando me e l’infermiera a bocca aperta e senza fiato per le risate.
Non vi riproporrò tutto lo spettacolo, sarebbe troppo lungo; mi limiterò all’ultima folgorante battuta di Tullio. Il quale a fine esame si alza dal lettino con l’agilità di un anziano in buona salute, gira il collo a destra e sinistra, mi guarda e dice: Dottore, io qualche anno fa mi sono rotto la seconda vertebra cervicale e adesso sono rimasto un po’ duro.
Poi, rivolto all’infermiera con lo sguardo ammiccante: Peccato che sia rimasto duro nel posto sbagliato.
E io, ridendo sotto i baffi, ho pensato che deve pur esserci un motivo, se il nostro è il paese che ha dato i natali a Lino Banfi, Alvaro Vitali e Renzo Montagnani, pace all’anima sua.