Noi radiologi siamo pagati per fare diagnosi: ma chi ci ha insegnato a parlare ai pazienti quando la diagnosi è certa e infausta? Chi ci ha spiegato i rudimenti necessari per trattare con persone che da un secondo all’altro hanno visto la propria prospettiva di vita contrarsi di una trentina di anni? Nessuno, questa è la risposta. Nessuno ci ha insegnato nulla. Nelle nostre Scuole di specialità hanno perso la voce, si fa per dire, nel tentativo di insegnarci la Radiologia; ma nessuno, e dico nessuno, ci ha preparato al peggio, cioè ad affrontare in modo costruttivo la disperazione dei nostri malati.
Certo, potrei fare ancora una volta il professorino e dirvi che le brutte notizie vanno fornite in un ambiente tranquillo e riservato, e che un secondo dopo averle fornite la situazione va affrontata con decisione: bisogna subito, subito, subito proporre percorsi, strategie, soluzioni. Anche se la situazione sembra disperata. Un malato grave che ha appena scoperto di esserlo è soprattutto una persona in confusione: va presa per mano e accompagnata verso una speranza di guarigione, immediatamente, senza perdere nemmeno un minuto. Non è questione di cambiare la prognosi della sua malattia, quello nessuno di noi può farlo: è che bisogna ridurre al minimo i tempi dell’incertezza, chiarire tutto quello che c’è da chiarire e indirizzare lui e la famiglia verso persone competenti che impostino una terapia il più possibile efficace.
Si, questo è tutto vero, sulla carta sono preparato. Poi però, dopo tutta la teoria, dopo aver riferito a un uomo gentile di 55 anni che probabilmente ha un brutto male ai polmoni, dopo essermi preso in carico il suo problema fin dal primo secondo, prenotando gli esami successivi e attivando il pneumologo più bravo della zona, che succede? Cosa succede agli occhi gonfi e rossi della moglie che gli stringe la mano dietro la scrivania, mentre io parlo? Cosa succede all’uomo che un’ora fa, prima che la segretaria gli telefonasse per convocarlo, era vivo e felice e adesso invece è pallido come un cencio e ha addosso solo la sacrosanta e fottuta paura di non poter vedere i suoi nipoti?
Ecco, io non lo so cosa succede. Per quanto mi riguarda so solo che ogni volta mi sento inadeguato, anche quando ho fatto tutto il possibile. Che le mie parole, per quanto mi sia sforzato di essere cortese e comprensivo ed empatico, risuonano nelle mie orecchie come schiaffi violenti che ho assestato a un poveraccio mai visto prima. E che poi arriva, implacabile, l’attacco di emicrania: perché da qualche parte dovrà pur sfogare, tutta questa pressione.