Archiviata la prima giornata congressuale, peraltro con un certo affanno. Perché dice: è settembre, siamo a Napoli fronte mare, vuoi che faccia caldo? Errore: non solo fa caldo, qua letteralmente si schiatta. E alcune aree della Fiera d’Oltremare, in particolare un padiglione della mostra tecnica, non erano climatizzate per un guasto delle macchine: ho visto con i miei occhi poveri cristi, collaboratori di note industrie dell’imaging, che rantolavano sudando come maratoneti al quarantesimo chilometro nelle loro giacche e cravatte coatte (nel senso che per una questione di immagine non potevano toglierle, la giacca e la cravatta, non che fossero coatte come gusto).
Ma pazienza, per quanto caldo faccia non può essere peggio di Verona 2010 o Firenze 2014, dunque tiriamo avanti che al mondo c’è di peggio: per esempio, c’è gente che nel mentre è rimasta a lavorare. In compenso ho praticamente aperto il Congressone con una moderazione sulle tumefazioni del collo in età pediatrica iniziata alle ore 11, e subito dopo mi sono precipitato in aula Positano a tenere la mia presentazione sulle interstiziopatie cistiche. L’aula Positano era poco più grande di un’aula scolastica e mi ha fatto un po’ specie vedere tutte quelle persone sedute a terra o accalcate all’uscita, mezze dentro e mezze fuori; ma al contempo gli spazi ristretti non mi hanno privato dello spettacolo, per me finora ancora inedito, di una personalità piuttosto pletorica del mondo radiologico italiano che ha messo la testa dentro per un secondo, visto mezza diapositiva e poi è uscito scuotendo la testa, come se avesse appena ascoltato eresie degne della santa inquisizione. Il mondo è bello perché vario, dice il proverbio; o perché avariato, come invece sosteneva più sarcasticamente Ennio Flaiano (e anche io).
Infine, ma lo sapevate già, non mi sono voluto perdere l’incontro con i giovani radiologi: un po’ perché parlava gente che bisogna ascoltare, un po’ perché il destino di voi giovanotti mi sta assai a cuore. Non sono stati espressi concetti nuovi, intendiamoci, ma d’altronde la situazione è quella che è e può solo essere puntualizzata: la crisi della Medicina coinvolge anche la Radiologia, noi continuiamo a essere il primo paese al mondo per numero di risonanze magnetiche/abitante, ci viene chiesto sempre di più a sempre meno e c’è una pletora di figuri, non solo medici, che a quanto pare non ambiscono che a levarci la sedia da sotto il culo (in questo supportati da altri figuri di livello più elevato che immaginano, assai ottimisticamente, scenari fantascientifici in cui il lavoro del radiologo potrà essere svolto a costi da calzaturificio bengalese dai primi figuri di cui sopra. E chi se ne fotte della qualità del lavoro, aggiungo io). Per cui l’appello di Corrado Bibbolino, che si è autodefinito molto simpaticamente “braccio armato” del mondo radiologico italiano, cade a proposito: anche io sono convinto che l’ultima difesa che ci resta è la solidarietà di categoria, o per dirla in italiano più scorrevole la forza sindacale che possiamo mettere insieme (Corrado dice anche che sono ormai precipitato in un delirio di onnipotenza: qualcuno mi difenda pubblicamente, e gli faccia notare che nonostante sia nato il 25 dicembre non ho ancora imparato a camminare sull’acqua. Salvo a Jesolo, quando c’è la bassissima marea). Come ha infine chiosato Corrado, e che il ciel lo ascolti: no pasaran!
Ma il colpo di grazia ce l’ha dato il professor Grassi: il quale ha esordito mostrando una fotografia minatoria di Veronesi che promette a tutti quello che non si può promettere, e cioè che con la risonanza magnetica è possibile vedere tumori di pochi millimetri in tutto il corpo umano, e ci ha gettato nel panico più totale perché invece noi radiologi non ne siamo capaci (chissà, forse altri figuri ci riusciranno al posto nostro, a metà stipendio, e noi ancora non lo sappiamo). E’ stato interessante sul serio, invece, la riflessione sui posti di lavoro e sulla programmazione dei neospecialisti: se è vero che tra qualche anno avremo più pensionamenti che nuovi specialisti, forse è il caso di pensarci per tempo. O forse no, perché il numero dei cosiddetti “delegati per attività pratica”, terminologia tecnica per indicare il personale di supporto, è cresciuto a dismisura costringendo alcune categorie, cito sempre il professore, a dare un “colpo di freno a mano” per ridurre il numero dei disoccupati delle loro relative categorie. Non so come la vedete voi, ma a me sembra davvero un gran casino in cui ognuno si muove per conto proprio, come se non fossimo tutti collegati e votati a un fine comune, e questa non mi pare una bella cosa.
Per chiudere due ultimi spunti: glisso sul primo, perché non so dove si troveranno i soldi necessari a istituire la figura dell’infermiere di famiglia da affiancare al medico omonimo (progetto a quanto pare in fieri), il quale peraltro non vuole più essere chiamato in siffatta guisa ma pretende la denominazione più tecnica di medico di medicina generale, e punto diritto al secondo. Il professor Grassi ha detto una cosa sacrosanta: è necessario uniformare il livello degli insegnamenti universitari e fare in modo che i neospecialisti abbiano un bagaglio culturale più omogeneo. Ma a questo punto mi è tornata in mente la scena della personalità pletorica che scuote il testone uscendo dalla sala Positano, e mi è passata pure la voglia di sperarci.
A domani, per gli ultimi sviluppi. State collegati (poco tempo e con intelligenza, come ha specificato ieri sera una cara amica e collega).