Il corso del mio paese, al tramonto.
Sono su un balcone, in piedi, e guardo il passeggio di sotto. Mi sento sereno, tranquillo. Mi trovo a casa, niente può farmi male.
Dopo qualche minuto davanti al balcone, a mezz’aria, si forma una nebbiolina. No, qualcosa in più di una nebbia: sono nuvole, piccole nuvole bianche e soffici che vanno dal mio balcone a quello di fronte. Scavalco la ringhiera, rimango un secondo appeso e poi, semplicemente, mi tuffo nelle nuvole. Rimango sospeso lì, come se nuotassi; e infatti dopo un istante mi metto a nuotare a delfino, ma senza le bracciate, con quel movimento sinuoso che solo chi ha nuotato a lungo, e bene, può apprezzare.
Vado dal mio balcone all’altro, avanti e indietro, come se stessi facendo vasche di una piscina. La gioia di volare non ha confronti con quasi null’altro che io abbia provato in precedenza: galleggio nell’aria e rido, felice.
Dopo un po’ di tempo, tuttavia, inizio a sentire stanchezza nelle gambe e nella schiena. Volare nelle nubi non mi riesce più così facile, naturale, ma devo sforzarmi per guadagnare il davanzale opposto; fino a che mi sento spossato e non posso fare altro che risalire sul mio balcone e restare lì, a guardare il passeggio come pochi minuti prima.
E no, credetemi, questa volta davvero non mi serve il pronto soccorso Freud.