Prologo. Dopo l’ennesima paziente che, terminata l’ecografia, si sofferma a parlare con il vostro affezionato blogger, l’infermiera dice: Ma dottore, perché tutti i pazienti vogliono raccontarle la storia della loro vita?
Fatto. Un giorno, più o meno lontano, qualcuno di molto in alto riunirà voi e i vostri colleghi e dirà, con l’indice alzato e una certa gravità nei modi: Cercate di compiacere i pazienti, non fateli arrabbiare. Questo qualcuno intenderà, semplicemente, che tra i vostri compiti di medici ce n’è uno più importante degli altri: non creare problemi superflui ai capi, i quali sono già parecchio soverchiati da conti che non tornano, liste d’attesa da azzerare a iporisorse e, in senso più generale, da rancori inespressi ma profondi verso la categoria medica in senso generale.
Epilogo. Ma c’è una lettura alternativa dell’esortazione del vostro, per dirla alla Fantozzi, Direttore Naturale, Gran Mascalzon., Lup. Man., Pezz. di Merd eccetera, ed è la seguente. Siccome un altro mondo, fino a prova contraria, è possibile, potremmo essere realmente interessati alla sorte dei nostri pazienti e non vederli solo come potenziali minacce alla tranquillità già minata di suo della nostra vita lavorativa. Potremmo vederli come individui con una storia e degli affetti, persone care che li aspettano a casa e magari sono preoccupati della loro sorte. Potremmo immaginarli come persone uguali a noi, spaventate, bisognose di cure e attenzioni, e non come numeri da impilare a fine anno per vedere se ci siamo stati dentro coi tempi: perché i modi, forse, sono più importanti dei tempi. Potremmo, invece che esibire finta gentilezza di fronte alle loro esigenze, provare empatia sincera e riflettere sull’eventualità che potrebbero non essere le liste d’attesa la vera natura del loro disagio, ma la direzione in cui sta evolvendo la moderna medicina: attenta ai numeri e non alle persone, alla quantità e non alla qualità, ai tempi e non ai modi, alle carriere personali e non alla sorte dei malati.
Post scriptum. Che poi chi è senza peccato scagli la prima pietra: io mi becco cazziate a ripetizione dal mio primario perché dimentico sistematicamente di avvisare l’ufficio della libera professione delle mie assenze nelle sessioni di lavoro a me assegnate. Il che vuol dire, tra le altre cose, pazienti (paganti, anatema!) che mi attendono inutilmente per ore, eccetera. E lui: Anche questo è rispetto per i pazienti di cui parli tanto bene nei tuoi post! E’ vero, lo è. E il fatto che non sia mai stato un grosso amante della libera professione non mi giustifica affatto.