Voi specializzandi frequentatori abituali ormai lo sapete, che io sono un fissato del referto radiologico; e lo sa ancora meglio chi lavora con me, perché ogni giorno che Iddio manda sulla terra deve sopportare le mie elucubrazioni in proposito (e i miei referti). Perchè non c’è niente da fare: il referto, oltre a qualificarci come i professionisti che siamo, nel bene e nel male, è un atto di pura comunicazione. E quindi va maneggiato con cura: la stessa, per dire, che uso quando scrivo un nuovo post sul blog, perchè so che in molti mi leggeranno e allora voglio essere chiaro come il sole. Magari non condiviso, magari criticato; ma chiaro come il sole.
Ed è questo il motivo per il quale, leggendo referti di colleghi pure dotati di buone qualità radiologiche, a volte resto interdetto: quando il referto ha la forma di un mattone, è un blocco rettangolare che occupa un intero foglio A4 senza punti, senza un a capo, senza una struttura ordinata, spesso del mattone ha anche la pesantezza.
Per cui vi sembrerà assurdo, ma stilando un referto cerco di stare attento anche alla sua struttura complessiva: non solo quella sintattica ma anche quella visiva. Perchè, fateci caso, a voi non viene lo sconforto quando aprite un libro nuovo e lo trovate scritto in caratteri fitti fitti, piccoli, senza interruzioni di linea, senza punti e a capo? Ecco, per il referto è uguale. Ci sono referti che solo a vederli mi passa la voglia di leggerli, anche se contengono verità radiologiche assolute: tale e quale a quei libri là.
Ma c’è un altro elemento del referto ancora da sottolineare, emerso ieri pomeriggio mentre refertavo in pronto soccorso insieme a una specializzanda per mia fortuna molto sveglia. Nel bel mezzo della dettatura mi blocco e guardo lo schermo: davanti alla descrizione di una massa renale campeggia, beffardo, il termine “voluminosa”. E lì capisco tutto.
I referti radiologici sono letteralmente infarciti di aggettivi (esempi: voluminoso, minuto, notevole), ma gli aggettivi in radiologia sono fuorvianti perchè soggettivi e, soprattutto, non quantificabili. E invece noi radiologi già abbiamo la soluzione al problema: la semplice misura, in centimetri, delle lesioni. La misura dice tutto quello che serve senza fronzoli, e asciuga la prosa del vostro referto. Guardate il seguente referto di un Rx torace.
C’è scritto: lieve accentuazione della trama. Anche tralasciando le inquietanti implicazioni del rinforzo, di cui abbiamo già parlato, che vuol dire esattamente lieve? Che il rinforzo è poco? E’ un rilievo grave o una sciocchezza della quale il medico curante può infischiarsi? La possiamo quantificare in qualche modo, questa alterazione lieve? No che non possiamo. Ci da’ un’idea di dove sia distribuito, nell’ambito del parenchima polmonare, il rinforzo? No che non ce la da’. Dunque lieve è un termine superfluo, ingrassa il vostro referto, gli fa venire il colesterolo alto e lo mette a rischio di infarto.
Ma non è tutto. I referti radiologici sono infestati anche di avverbi. Volete un esempio?
Oppure.
Il problema è che anche gli avverbi hanno il vizio di essere vaghi, poco oggettivi, incapaci di esprimere un concetto quantitativo ben preciso: in cambio di una sensazione di finta sazietà (vorrei mitigare la conclusività di un referto, così ho l’impressione di pararmi meglio il culo) si sceglie un cibo che ingrassa il referto ma nutre assai poco (allora uso un avverbio). E’ come ingozzarsi di Big Mac invece di mangiare un piatto di bresaola, grana e rucola (magari condito con olio e limone, che noi siamo mediterranei da generazioni).
Per cui, dopo queste considerazioni, io e la specializzanda ci siamo messi di buzzo buono e abbiamo cominciato a controllare i miei referti, prima della firma finale, con l’occhio dello sterminatore professionale di avverbi e di aggettivi: e ci siamo accorti che i referti, anche dopo aver realizzato la presenza del problema, erano ancora infestati di quei parassiti. Il resto del pomeriggio se n’è quindi andato a schiacciare aggettivi e avverbi come se fossero scarafaggi, fra scoppi di risa quando ci accorgevamo che, con tutta la buona volontà di tutti e due, qualche insetto sfuggiva alla cattura e alla morte.
Morale. La soppressione degli avverbi e degli aggettivi è il primo trucco che un buon professore di italiano dovrebbe insegnare all’alunno che impara a scrivere un tema: ma non meravigliatevi più di nulla, e visto per esempio il livello culturale dei nostri attuali politici di professione divertitevi anche voi a contare il numero di avverbi e aggettivi (nonché numerose figure retoriche) di cui sono rimpinzati i loro interventi televisivi (a qualunque parte politica appartengano, pur con qualche virtuosa eccezione). Per i radiologi il problema è ancora più accentuato proprio perché l’aggettivo, ma soprattutto l’avverbio, sono il rifugio del peccatore. Esempio sovrano: quando proprio non sappiamo (o non abbiamo voglia di) quantificare un problema radiologico, la soluzione universale sta quasi sempre nel termine “discreto” (discreto rinforzo della trama; versamento pleurico di discreta entità; discreta riduzione dell’addensamento parenchimale). Che non vuol dire nulla: né poco né tanto, né qualcosa né niente, ma tutt’altro.
Insomma, se dovete per forza scegliere il vostro aggettivo domestico, non scegliete discreto e soprattutto, qualunque esso sia, tenetegli il guinzaglio stretto e mettetegli la museruola. E poi ricordatevi che avverbi e aggettivi, nel vostro referto, sono come scarafaggi: per quanto li calpestiate, qualcuno sfuggirà sempre alla strage. Perché è inevitabile; e poi chi è senza peccato scagli la prima pietra.