Oddio, adesso questo ragazzino mi rovina

di | 21 Giugno 2012

Il mercoledì per me è storicamente giornata di interventistica TC. Si fanno biopsie, si inseriscono drenaggi e fili guida un po’ dappertutto: e per uno come me, che negli aurei anni di specialità si era sempre tenuto alla larga da qualunque genere di procedura interventistica, è un piccolo miracolo che si rinnova settimanalmente.

Mercoledì scorso la prima biopsia della mattina riguardava una signora non più giovanissima con una probabile recidiva di tumore polmonare. Quando l’ho vista il suo viso mi è sembrato familiare; poi ci siamo messi a parlare, perché quando un medico ti deve mettere le mani addosso bisogna che uno sappia con chi ha a che fare, ed è venuto fuori che aveva già fatto una biopsia polmonare nel remoto 2006. Vado a spulciare nel RIS e, guarda caso, scopro che la procedura gliela avevo fatta proprio io: la signora si illumina e mi racconta che quello era stato il secondo tentativo, lei era molto preoccupata e quando mi aveva visto entrare dalla porta della TC aveva pensato: Oddio, adesso questo ragazzino mi rovina.

Dovete sapere che il ragazzino, all’epoca, aveva 37 anni: che non sono molti ma, credetemi, nel mio campo lavorativo nemmeno pochi. Tuttavia, nonostante l’aspetto scarsamento affidabile da neolaureato alle prime armi in quella circostanza tutto dovette andar bene perché, mi ha raccontato sempre la signora, alla fine della procedura volle abbracciarmi e ringraziarmi profusamente. Quello che poi ha fatto anche alla fine della seconda procedura, quella di mercoledì scorso (che in effetti era di una semplicità sconcertante, ma è importante che i pazienti siano sempre convinti che hai sudato sette camicie per guadagnare la meta. Senza contare che si tratta sempre e comunque di aghi piantati nel torace, mica bruscolini).

Tutto questo per dire che a volte dimostrare meno anni di quelli che hai è un problema bello grosso. I pazienti ti prendono per un neofita e hanno paura che tu non abbia nemmeno l’esperienza per curargli un’unghia incarnita. Quando ti presenti a un concorso per primario i direttori sanitari ti guardano con malcelata sorpresa, e la prima cosa che ti chiedono è quanti anni hai (pensando anche, probabilmente: Ma chi è quell’imbecille di primario o direttore generale che mi manda un ragazzino al concorso?). Puoi anche lasciarti crescere la barba, che peraltro fa bella figura a prescindere, ma il risultato cambia di poco.

E allora questo post è dedicato a tutti i miei colleghi che navigano prossimi ai quaranta o ne hanno qualcuno in più, come me, e sono afflitti da questa inconsapevole e incolpevole sindrome di Peter Pan per cui tutti gli danno almeno dieci anni in meno. Con la speranza, tutta interiore, che diventi chiaro ai più che il massimo rendimento lavorativo è proprio a quaranta anni che lo raggiungi: con il massimo dell’entusiasmo unito a una sufficiente esperienza sul campo. Altrimenti continueremo a coltivarci questa gloriosa gerontocrazia tutta italiana, che guardate dove ci sta portando.

Lascia un commento