Ogni tanto, come stamattina, mi sveglio e decido che non c’è niente da fare, bisogna che io sia buono per tutta la giornata: ma buono buono, proprio, buono come il papà della famiglia del Mulino Bianco (ma senza l’ossessione per i gay che caratterizza i suoi principali); buono come il prete della mia parrocchia, che in chiesa non mi ci vede mai ma quando mi incontra in strada mi abbraccia con affetto, neanche se fossi il primo dei suoi fedeli.
E allora ci provo. Provo a essere empatico, a parlare con i pazienti e farli parlare più a lungo possibile, a stringere mani, a carezzare fronti stanche.
A volte, guardando alla situazione con distacco, mi sembra di essere una specie di Gandhi dei poveri: e lo confesso, ogni tanto un po’ me ne vergogno.
Poi però penso anche che a mettere in circolo un po’ di buoni sentimenti a titolo gratuito non costa nulla neanche a chi li produce: che poi quelli girano per conto loro e non si sa mai dove vanno a parare. Magari grazie a uno dei miei sorrisi di stamattina un automobilista deciderà di rallentare, in vista delle strisce pedonali, per far passare un vecchio in difficoltà; e magari senza nemmeno smadonnare tra i denti.
Fosse anche solo per quello, direi che ne sarebbe valsa la pena.