Otto e mezzo, in tempo reale

di | 21 Febbraio 2015

Io non seguo praticamente mai il programma serale di Lilli Gruber (ci sarà un motivo per cui l’Italia gravita intorno al 70° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa, e la Nostra non è sicuramente una luminosa eccezione alla patologia cronica del giornalismo italiano. Sebbene in passato ci abbia deliziato con inquietanti ma deliziose anteprime, tipo questa: occasione nella quale, con parecchi mesi di anticipo, sdoganò Mario Monti come futuribile premier e lo fece con entusiasmo quantomeno sospetto). Ma talora, quando sono di guardia, mi piace iniziare la serata nel peggior modo possibile: ascoltando il telegiornale.

Stasera, e sto digitando in diretta proprio mentre guardo il famigerato programma, sono ospiti della Gruber una deliziosa oncologa franco-indiana e Franco Orsi, direttore di uno dei pochi reparti italiani di Radiologia Interventistica (IEO, Milano: l’ospedale di Veronesi, per esser chiari).

La Lillona nazionale esordisce con due domandine rompighiaccio: all’oncologa sul perché sia approdata proprio in Francia, e al Radiologo sui motivi del suo ritorno in Italia dopo essere stato molto a lungo all’estero. Entrambe le risposte sono interessanti, e sentite perché. L’oncologa dice, candidamente: in Francia 25 anni fa mi garantivano la possibilità di fare carriera anche nel caso avessi fatto dieci figli, in Italia no (poi però cerca di metterci una pezza maldestra affermando che anche in Italia finalmente si è arrivati a questo livello di civiltà, il che è una puttanata enorme perché anche nel terzo millennio restiamo il paese misogino di sempre, quello in cui la gravidanza di un medico donna è vissuta come lutto cittadino e costringe l’intero reparto a salti mortali perché col cacchio che viene presa in considerazione l’idea di sostituirla durante la maternità. Ma apprezziamo comunque il gesto distensivo, perché si vede che l’oncologa è una persona gentile). Invece il nostro radiologo risponde alla seconda domanda, in buona sostanza: perché  Veronesi aveva appena aperto lo IEO con presupposti molto diversi da quelli standard italiani dell’epoca, in particolare per quanto riguarda l’influenza politica sulle nomine.

A questo punto Lilli Gruber ha un palese brivido diaccio che le corre lungo la schiena (se non mi credete guardate il filmato su Internet, vi prego) e invece di chiedere all’eroico Orsi di spiegarsi opportunamente non trova nulla di meglio che dare la pubblicità; e al ritorno, dopo qualche minuto, disinnescare Orsi e spostare il discorso su altri argomenti, evidentemente molto meno rischiosi. E pensare che io, al posto suo, non avrei creduto a tanta manna e con vocina ingenua e melliflua avrei subito chiesto: Come, dottor Orsi, sta dicendo che la politica italiana ha qualcosa a che fare con le nomine apicali ospedaliere? Ma dai?!

Tra gli argomenti meno rischiosi, in piena diretta televisiva, le motivazioni sull’espulsione dei famosi 11 interventisti dalla SIRM (di cui ho parlato in questo post, senza che al momento abbia cambiato idea): e qui il bravo Orsi, facendo gli occhioni tristi, dice la sua sulla vicenda e tutto sommato riesce anche a essere diplomatico nei confronti della casa madre che lo ha scacciato, a sentir loro, in malo modo. Ovviamente la Lillona, che aveva appena elegantemente glissato sul male peggiore della sanità italiana, si getta a pesce sulla ghiotta notizia; e, senza che sia previsto alcun contraddittorio dell’altra parte in causa (incidentalmente trattasi della SIRM, ossia la Società Nazionale di Radiologia Medica, ossia la più rappresentata società scientifica radiologica in Europa, circa 10mila soci), si profonde in considerazioni del tipo: Ma perché ci facciamo male da soli? Ma perché siamo così autolesionisti? E poi, non paga, insinua: Io non capisco niente dell’argomento, ma non è che per caso sotto sotto c’è anche una motivazione economica?

Certo che c’è la motivazione economica, Lilli, come apparirà chiaro a fine intervista, ma non nell’accezione che stai dando tu alla faccenda. Morale, Signore e Signori, ancora una volta l’informazione giornalistica italiana non ci sorprende, per metodi e risultati. Auguri per il centesimo posto in classifica, che ormai è alle porte.

PS Quanto a Orsi, vorrei essere diplomatico come lui ma, scusatemi, proprio non ci riesco. Insomma, ci terrei a chiarire un concetto basilare del mondo medico-radiologico: non è che la Radiologia Interventistica sia la vetta dell’Everest e il resto della Radiologia merda fumante. Se è lecita l’esistenza di una sezione SIRM di Radiologia Toracica (o di Capo-collo, o di quello che volete voi), inscritta in una struttura societaria più grande e omnicomprensiva (la SIRM), non vedo perché non possa esistere, come difatti continua a esistere anche dopo l’epurazione degli 11, anche una sezione di Radiologia Interventistica. O dobbiamo dedurne che chi si occupa (quasi solo) di diagnostica è un coglione? O dobbiamo dedurne che, per dire, un radiologo dedicato all’urgenza, al torace o alla mammella può occuparsi tranquillamente anche di tutto il resto perché si tratta di questioni risibili, mentre l’interventista salva la vita alla ggente?

Siccome queste sono cazzate sulle quali manco mi metto a discutere, il discorso è piuttosto da porre in altri termini. Semmai, la necessità di avere sul territorio un  numero maggiore di reparti di Radiologia Interventistica, analogamente a quanto accade per la Neuroradiologia, perché la medicina è in questa direzione che sta tirando: l’ultraspecializzazione. Questa potremmo davvero chiamarla politica sanitaria, quella seria, quella dei progetti sulla lunga distanza e non mirati alla prossima (ri)elezione regionale; che però esclude i casi sempre più frequenti in cui radiologi con esclusiva esperienza interventistica vengano chiamati, con metodi che potremmo graziosamente definire obliqui, a dirigere reparti di Radiologia cosiddetti generalisti, ossia senza connotazioni di tipo interventistico perché è altro quello di cui si ha bisogno in quella particolare realtà, spesso periferica; il che, se permettete, oltre a contraddire il punto di vista del radiologo interventista duro e puro potrebbe incidentalmente creare qualche piccolo problema di ordine gestionale e danni al servizio reso ai pazienti.

Il resto, e qui mi trovo d’accordo con quello che sta dicendo il nostro Orsi in questo precisissimo momento, è business. Ma allora, se è di affari che stiamo parlando non pigliamoci per il culo, dai.

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