283 euro lordi

Secondo il Sole 24 ore del 08/10/2022 il rinnovo del contratto della dirigenza medica, fermo dal 2019, comporterà un adeguamento medio di stipendio pari a circa 283 euro lordi.

A questo punto è dunque evidente che non sussiste in alcun modo l’intenzione politica di frenare l’emorragia di medici in fuga dal SSN e, soprattutto, di correggere la schizofrenia che ha generato, qualche anno fa, la riforma dello stesso: sarebbe a dire che si sono trasformate le ULSS in aziende, mettendole in mano a manager di indubbia e multiforme esperienza, e poi le si è considerate alternativamente entità pubbliche o private a seconda di come pungeva vaghezza ai decisori e agli esecutori.

Per dire: un’azienda, come è noto, si regola sulle leggi del mercato. Non si trovano operai specializzati in quel dato luogo e per quel dato settore? Bene, si incentivano le assunzioni pagando gli operai il doppio, il triplo, insomma quello che serve. Qui a mancare sono i medici: ma capite bene che con le tariffe che girano nel privato in questi mesi, ovunque si volga lo sguardo, 283 euro lordi al mese fanno ridere i polli.

E allora? La soluzione è semplice, quasi lampante. Via il pubblico impiego dal sistema sanitario nazionale. Se non avete capito bene lo ripeto: via-il pubblico-impiego-dal-sistema-sanitario-nazionale. Tutti i medici ospedalieri a partita IVA, e gli stipendi funzione di quanto produce il libero professionista (e magari anche di cosa produce, nel caso di prestazioni a elevata complessità/rischio). Vi garantisco che in questo modo:
a) tutti sarebbero più che soddisfatti dei propri stipendi;
b) finirebbero all’istante le assenze improvvise per polemiche sui turni, liti furibonde tra colleghi, cagotti mattutini estemporanei, febbri del bambino e assai dubbi traumi da caduta;
c) nessuno litigherebbe più per l’esame su cui ha preso accordi il collega e che ci si ritrova sul groppone al cambio del turno.

Tutto chiaro, regolato nel minimo dettaglio. Assunzione diretta dei medici da parte di un responsabile, che in quanto tale si rende garante del loro operato nel bene e nel male pagando in prima persona per le malefatte dei collaboratori, e:
a) fine dei concorsi-farsa;
b) se uno/a negli anni si è fatto la fama di stronzo e/o di incompetente meglio che vada a coltivare la terra, con rispetto parlando;
c) fine della confusione che regna sovrana negli ospedali da quando a chi gestisce i gruppi di lavoro sono stati strappati di mano gli strumenti di gestione;
d) chi fa guadagna e chi non fa, o fa male, non guadagna e sotto una certa soglia di produttività (stabilita dalla legge) può essere licenziato per giusta causa.

Non solo l’uovo di Colombo ma in un certo senso, persino, il trionfo assoluto della meritocrazia: il più bravo, o a parità di qualità il più produttivo, verrebbe pagato di più senza che nessuno possa obiettare nulla.

Come dite? Qualcuno sarebbe scontento di questa svolta epocale nella gestione della sanità nazionale? Per esempio i fautori dei 283 euro lordi venduti come ennesima vittoria epocale di categoria? Può essere e a suggerirmelo è stato stamattina, assai amaramente, un collega con cui ho affrontato il problema. Ma questo è un altro discorso, e di certo non un blog il luogo adatto per farlo.

Il Rondone

Ho un’immagine ben nitida nella memoria: io e i miei figli che lanciamo in aria il Rondone. 

Il Rondone fu acquistato nel mercatino della città di Sarmede, vicino Vittorio Veneto, durante i giorni delle Fiere del Teatro (Sarmede, per chi non ne è a conoscenza, è una specie di città delle fiabe in cui si tengono alcuni eventi dedicati ai bambini, tra cui, appunto, le Fiere. Se abitate in zona, ma anche se vivete lontani, portateci almeno una volta nella vita i vostri figli).

Il Rondone era un aeroplano di polistirolo, ben bilanciato, che grazie alla possibilità di modificare l’assetto degli alettoni poteva essere tarato sia per i lanci lunghi, in orizzontale, che per le evoluzioni acrobatiche. L’unico problema, quando avevi a che fare col Rondone, era evitare che finisse in mezzo a un campo recintato, in un giardino o sul tetto di qualche casa vicina. Mio figlio, in particolare, ci andava matto: il massimo della vita era giocarci in spiaggia, specialmente quando tirava un po’ di vento.

Oggi, lo sapete quasi tutti, è la giornata mondiale della Radiologia. L’8 novembre di 127 anni fa, a Würzburg, Wilhelm Conrad Röntgen lanciò il suo Rondone: mentre studiava le radiazioni anodiche e catodiche, avvalendosi di un tubo in cui era stato realizzato il vuoto spinto, si accorse che uno schermo cosparso di platinocianuro di bario, a poca distanza dal tubo stesso, emetteva una luce molto fioca. Vi risparmio il resto della storia di questa fenomenale scoperta, che culminò nella prima radiografia della storia (la mano con anello della moglie Bertha) e che diede inizio all’incredibile avventura della Radiologia. Vi invito però a riflettere su quanto ho scritto all’inizio: Röntgen quel lontano 8 novembre lanciò nel cielo un Rondone che, approfittando di una serie di venti favorevoli, non si schiantò contro un muro, non finì su un tetto irraggiungibile e non si perse nelle onde del mare. Quel Rondone è giunto fino a noi.

Come qualsiasi altra cosa, per esempio il Rondone, anche la scoperta dei raggi X è una valida metafora della nostra esistenza. Quando tra poche ore guarderò insieme a mio figlio la partita di campionato del Napoli sarà facile dirgli: lo vedi, anche Khvicha Kvaratskhelia (per i non esperti: uno degli attaccanti del Napoli) quando era piccolo ha lanciato un Rondone che dal luogo più improbabile del pianeta, la Georgia, ha raggiunto le nostre coste. Guarda quanto ha volato, il suo Rondone, e chissà in quali altri posti dovrà atterrare.

Ma gli dirò anche un’altra cosa, e non causalmente gliela dirò proprio in occasione della decima giornata mondiale della Radiologia: il Rondone ti fa arrivare da qualche parte, è vero, se lo lanci bene. Ma esiste un punto preciso da cui decidi di lanciarlo, e quel punto lo scegli perché a spingerti sono l’ambizione, la fame, la disperazione, la voglia di cambiamento. Ecco, gli dirò tra poche ore, è il punto da dove decidi di lanciarlo che fa la differenza, anche se a motivarti dovesse essere la necessità di evadere da una prigione. Il resto lo faranno le correnti aeree, le condizioni atmosferiche, la perizia con cui hai curato l’assetto, la forza con cui lo hai lanciato.

Ma è la motivazione, che si trovi nello studio di un vecchio fisico tedesco di fine ‘800, sulla spiaggia dove un bambino biondo lancia il suo Rondone, nel cortile dove un ragazzino georgiano senza futuro giocava a palla con gli amici o nella libreria ormai semivuota di uno studio ospedaliero, a fare sempre tutta la differenza di questo mondo.


La canzone della clip è “Il rondone” di Flavio Giurato, uno dei cantautori più sottovalutati della storia della musica italiana, tratto dall’album “Per futili motivi” (1978). L’album successivo sarebbe stato “Il tuffatore” (1982), uno dei capolavori della musica leggera italiana che tutti dovrebbero conoscere. Ne approfitto per ringraziare Manuel, senza il quale questo post (e forse anche tutti gli altri dopo) non avrebbe mai visto la luce.

Intervista per la giornata mondiale della Radiologia

Sono stato intervistato da una giornalista/collega di Giornalesanità.it in occasione della giornata mondiale della Radiologia, che cade il prossimo 8 novembre. Ho risposto ad alcune domande: mi sembra giusto riportare l’intervista anche in questa sede, che ultimamente sto trascurando per problemi di lavori in corso nella mia vita professionale. In ogni caso, il link all’intervista è qui. La fine dell’intervista è un po’ polemica (anche il resto, a dire il vero, per chi sa leggere tra le righe). Ma a non aver più niente da perdere corrisponde anche qualche indubbio vantaggio: poter dire quello che si pensa, per esempio, senza peli sulla lingua. Ammesso di averli mai avuti.


Ricorre l’8 novembre la Giornata Mondiale della Radiologia.
Instituita per la prima volta nel 2012, e giunta alla sua decima edizione, la Giornata è volta a promuove il ruolo dell’immagine nell’assistenza sanitaria moderna.
Nell’epoca post covid, la radiologia ha conosciuto una nuova l’era: l’ennesima rivoluzione in un segmento segnato, e legato stretto, al velocissimo e sempre più frequente ricambio tecnico e tecnologico.
Sfide quotidiane attendono medici e personale tecnico e sullo sfondo la rivoluzione più grande di tutte: l’avvento di Internet e i social network, che più di ogni altra cosa hanno cambiato il volto della medicina.
Per celebrare la Giornata mondiale della Radiologia, Giornale Sanità ha voluto dedicare due spazi ad altrettanti medici radiologi, che hanno scelto di raccontare la vita e la professione sul web, in modo diverso ma complementare e, soprattutto, innovativo.
Esponenti di due diverse generazioni, il dottor Giancarlo Addonisio, qui intervistato, e il dottor Manuel Signorini, parlano e raccontano la radiologia, mettendo a disposizione del pubblico l’esperienza umana e professionale.

Il dottor Giancarlo Addonisio, primario dell’USL4 del Veneto Orientale, è autore di un blog che ha ispirato un’intera generazione di specialisti, unradiologo.net, in cui alterna casi clinici a stralci di vita, non mancando di accennare a temi sociali, basati sulla sua esperienza di dirigente medico.

L’8 novembre ricorre la Giornata Mondiale della Radiologia, giunta alla sua X edizione. Cosa crede sia cambiato negli ultimi 10 anni?

La risposta più semplice da dare sarebbe la seguente: è cambiata la tecnologia in tutta la filiera radiologica, dall’inserimento dell’esame di un Paziente nelle liste di lavoro alle modalità di refertazione. In realtà, il cambiamento più radicale dell’ultimo decennio è la straordinaria e imprevedibile crisi di personale medico, comune peraltro ad altre branche specialistiche. La rivoluzione al contrario avvenuta nei reparti ospedalieri, dove pochi medici aziendali coesistono con consulenti esterni che lavorano a cottimo, capaci di guadagno dieci, cento volte maggiore dei colleghi ospedalieri ma senza stabilire rapporti duraturi con il reparto stesso e il resto dell’ospedale.
Il vero cambiamento degli ultimi dieci anni non riguarda la Radiologia: è piuttosto l’agonia della sanità pubblica come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 30 anni.

La radiologia è stata segnata da una serie di rivoluzioni, più o meno piccole, tra cui il passaggio dall’analogico al digitale. Come è stato viverlo in prima persona? Quale è la rivoluzione che crede abbia segnato di più il suo vissuto da medico?

Per una disciplina già fortemente orientata in senso tecnologico come la Radiologia, il transito analogico-digitale, insieme all’avvento di Internet e a rivoluzioni informatiche molto più radicali e segnanti, è stato molto naturale. Lo abbiamo atteso per anni e quando si è concretizzato, ha comportato più cui ogni altra cosa una significativa velocizzazione del flusso di lavoro e l’accesso a elaborazioni molto complesse dell’immagine radiologica, migliorando la capacità diagnostica complessiva. Sicuramente si è trattato della rivoluzione tecnologica più importante, ma l’impressione è che abbia solo aperto la strada a ulteriori e più radicali cambiamenti, dei quali il protagonista indiscusso sarà l’intelligenza artificiale. Rimane il rammarico di aver perso l’occasione per mettere in rete l’intera sanità pubblica, rendendo fruibili a ogni medico le informazioni sui Pazienti e semplificare radicalmente la loro gestione clinica.

Niente cambia in fretta come la radiologia, al passo con le tecnologie più avanzate, e si parla sempre più spesso di Intelligenza Artificiale. Cosa pensa sarà in futuro la radiologia e quale sarà il ruolo del medico radiologo?

Il ruolo dell’intelligenza artificiale (AI) diventerà rapidamente crescente nei prossimi anni, e sarà funzione della potenza dei processori e della quantità di informazioni che l’hardware potrà raccogliere. La questione non è quindi se AI giocherà o meno un ruolo chiave in medicina, il problema è solo quando sarà in grado di farlo. Non è una questione tecnica, ma gestionale. Già adesso siamo di fronte a resistenze anacronistiche da parte di molti fronti: si paventa la possibilità che il Medico radiologo possa essere gradualmente sostituito da AI e pertanto perdere il suo ruolo di centralità nella gestione del Paziente. La questione è ovviamente molto più complessa e ha molteplici aspetti da esplorare: per esempio, ma cito solo la prima che mi viene in mente, quello medico-legale (chi risponde in sede civile e penale in caso di errore di AI?). Come sempre accade in questi casi, quindi, sarebbe opportuno governare questo processo di cambiamento piuttosto che ostacolarlo e rischiare che travolga l’intero sistema, e usarlo per ottenere gli indubbi benefìci che AI può avere nell’intera catena diagnostica.

Il suo blog, unradiologo.net, raccoglie, come scrive lei stesso, il diario di un radiologo ospedaliero. Tra considerazioni personali e spunti di riflessione, parla anche di casi che ha trattato, e si rivolge ad addetti ai lavori e non. Secondo lei è giusto snocciolare la radiologia in modo semplice, così da renderla accessibile a tutti?
Crede che i social network o più in generale in web, abbia avuto un qualche impatto sulla medicina, e sulla radiologia? Quale?

Il mio blog e la mia pagina Facebook parlano solo marginalmente di casi clinici e quando lo fanno il post è rivolto agli addetti ai lavori, con un linguaggio tecnico: ho sempre cercato, anche nelle attività congressuali, di rendere semplici i concetti più complessi in modo che a fine presentazione fosse possibile portare a casa due o tre concetti chiave utili per il lavoro quotidiano. Le restanti riflessioni traggono spunto dalla vita ospedaliera ma spesso vanno oltre, toccano temi di management o politica. In ogni caso, elementi che hanno a che fare col mio mestiere più o meno direttamente, e che è bello condividere anche con i non addetti ai lavori: sapere di cosa si occupa un medico può essere utile per comprendere il valore del suo operato e le motivazioni che sottendono suoi eventuali errori. La cosa importante rimane però il rispetto dei Pazienti: quando espongo un caso clinico, con modalità del tutto analoghe a quelle congressuali, sto sempre molto attento che non trapelino informazioni lesive dell’anonimato. Tuttavia, bisogna riconoscere che il web ha radicalmente modificato la percezione della medicina nei non addetti ai lavori: basti pensare a quante persone si rivolgono a motori di ricerca come Google per cercare spiegazioni e cure ai loro problemi. Questa inedita fruibilità della medicina ha creato parecchi problemi, come l’illusione da parte dei pazienti di risolvere autonomamente i problemi di salute, con grossi rischi di accentuarli, ma ha anche evidenziato uno dei più grossi problemi della medicina moderna: la scelta politica di trasformare il medico da dispensatore di cure in burocrate, e sottraendogli il tempo materiale a disposizione per ogni singolo Paziente, ha contribuito a determinare questo smottamento. Per gli addetti ai lavori il discorso è differente: la rapidità nello scambio delle informazioni, e la possibilità di manipolarle a fini diagnostici, ha determinato una rivoluzione che, soprattutto in Radiologia, è equivalente a quella legata alla scoperta dei raggi X o all’invenzione della risonanza magnetica.”

Lei è uno scrittore, oltre che medico e dirigente di UOC, e spesso la radiologia è considerata una branca piuttosto “distaccata” nei confronti del paziente.
Crede nella medicina narrativa? E secondo lei, la radiologia ha bisogno di implementare questo aspetto?
Possono i social giocare un ruolo in questo?

Bisogna procedere per punti. Innanzitutto, non è vero che la Radiologia sia una branca più distaccata dal paziente di altre. Il potenziale di comunicatività ed empatia di un medico prescinde dalla specialità che sceglie dopo la laurea ed è un dono naturale del quale nessuno di noi dovrebbe essere sprovvisto, e che anzi il corso di laurea dovrebbe potenziare al massimo. Sempre per restare nell’ambito della Radiologia, un turno in sala ecografica è il classico esempio di come sia possibile stabilire un contatto diretto con il paziente, acquisire informazioni mediante l’anamnesi, entrare il più possibile in risonanza con lui, visitarlo con le mani prima ancora di poggiare la sonda ecografica sul suo addome. Ecco, proprio il tuno in sala ecografica è per me un serbatoio naturale di storie da raccontare sui social. La possibilità di parlare a lungo con il Paziente prima, durante e dopo l’esecuzione dell’esame, è una miniera di aneddoti e riflessioni personali che poi cerco di tradurre in quell’esperimento di medicina narrativa che è il mio blog. Un format che ha funzionato benissimo, devo dire: a fine 2004, quando il blog vide la luce, fui tra i primi a imboccare una strada che poi è stata percorsa da molte persone, anche non addetti ai lavori. In definitiva, credo che la medicina narrativa, in sé, sia uno strumento potentissimo, per noi e per i Pazienti, che possono imparare qualcosa sulla vita interiore dei medici, sul loro sforzo continuo di miglioramento, sulle difficoltà legate a errori di diagnosi o terapia. E serve anche ai medici stessi: nel mio caso, per esempio, scrivere equivale a resettarmi dopo una giornata lunga e faticosa, a centrarmi nuovamente sui motivi per cui ho scelto proprio questo lavoro. I social, in questo, sono fondamentali perché permettono di ottenere una platea di lettori molto ampia.

Secondo lei, di cosa ha bisogno la radiologia nel nostro paese?

I bisogni della Radiologia nel nostro paese sono gli stessi di qualsiasi altra disciplina medica: una buona politica alle spalle, una programmazione che tenga realmente conto delle esigenze delle persone e del territorio di riferimento e che non miri soltanto a raggiungimento di un risultato di facciata, spesso numerico e non di sostanza, e che impatti realmente sulla qualità di vita delle persone. Purtroppo, l’impressione attuale che se ne ricava, da addetto ai lavori, è che lo stato di prostrazione in cui versa la sanità pubblica non sia legato a errori di programmazione o all’incompetenza di chi ha gestito la stessa nel corso degli ultimi decenni. La sensazione forte di noi operatori è che sia in atto una sterzata epocale programmata con largo anticipo: la sanità pubblica costa troppo e bisogna sostituirla con un modello più economico. Io non contesto la scelta politica, che entro certi limiti potrebbe anche essere condivisibile (sebbene il nostro sistema sanitario, a parità di efficienza, costi meno di quello francese, per esempio, o di quello tedesco). Contesto però le modalità con cui è messa in atto, questa volontà di far apparire lo stato delle cose non come frutto di precise decisioni politiche ma conseguenza di gestioni precedenti concettualmente errate. Contesto anche la miopia con cui le associazioni di categoria hanno accompagnato questa deriva senza prendere posizioni nette, senza le barricate che forse avrebbero salvato l’intero sistema o almeno ritardato la sua implosione. Certo, non è lo scenario che mi aspettavo al momento della laurea, nel 1994, quando ero certo che l’edificio della sanità pubblica fosse indistruttibile e destinato a durare in eterno. La mia speranza a questo punto rimane una sola: che chi ha responsabilità in questo processo di demolizione controllata, a tutti i livelli, venga chiamato prima o poi a risponderne.

Dieci anni dopo (#02)

Pensierino del tramonto roveretano, al termine della seconda giornata di lavori congressuali.

Credete che il vostro curriculum vitae sia quello che avete vergato sulle due o tre paginette del modello europeo? I posti in cui avete lavorato, magari non tutti perché qualcuno è meglio dimenticarlo, il numero di esami che avete firmato ogni anno, i congressi a cui avete partecipato come discenti o, molto più di rado e con alterne fortune, come relatori?

No, vi sbagliate. Il vostro vero curriculum è la fama che vi accompagna ovunque andiate, anche a svariate centinaia di chilometri di distanza. Sono le storie, sempre le stesse, che nei vari luoghi di lavoro si raccontano sul vostro conto. Sono i giudizi, uguali dappertutto, sulla vostra persona, su quanto valete come esseri umani. Sono le richieste di informazioni sul vostro conto, a conferma di quanto si dice di voi.

Restereste tutti enormemente sorpresi se sapeste come è piccolo il mondo, e quanto la vostra fama possa precedervi: nel bene e nel male. Di come i giudizi sul vostro conto, su una distanza abbastanza lunga, tendano a omogeneizzarsi: deve trattarsi di una legge naturale, del passaggio chiave di un’equazione di fisica quantistica.

Ed è come quando arriva la bolletta della luce: a volte capita che siate in credito, anche solo di pochi spiccioli; ma molto, molto più spesso, siccome il prezzo della corrente è aumentato, nella busta c’è la stangata di fine anno.

Dieci anni dopo (#1)

Sono passati 10 anni dalla prima volta. Abbiamo percorso una strada anomala, anarchica, non benedetta, fuori da ogni schema, e abbiamo avuto ragione noi.

Il Covid ci ha rallentato, ma non fermato. E adesso, con tutta questa gente piena di voglia di imparare cose nuove, non si tratta più solo del piacere di parlare di cose che sai fare più o meno bene: è bello il ritorno alla normalità, la divisione degli spazi comuni, la compagnia di amici fraterni.

“Io sono quello meno serio dei due, quindi oggi non vi farò discorsi edificanti. Voglio solo dirvi che mi sento più che altro sollevato a essere qui con voi oggi. Alzate tutti le mani al mio tre e facciamoci un selfie che rimanga agli atti!”

E così grazie Andrea, Carmen, Marinella, Matteo. Grazie a tutti per questo ritorno alla vita normale, per questo elogio epocale della più regolare normalità.