Caso quizzzz (risoluzione)

Allora, prima di tutto grazie a tutti quelli che hanno giocato con me il gioco più difficile del mondo: fare diagnosi radiologica su un francobollo da cellulare. E poi le risposte al quiz: la Paziente sta bene, per sua fortuna, e con il suo bravo referto in mano se ne è tornata dal suo MMG. Si, lo ammetto, sono stato un autentico bastardo. Ma per un fine nobile: ragionare insieme sulla semeiotica topografica del polmone.

Perché, è indubbio, quella base polmonare destra ha una densità anomala. Ma a cosa è legata? Per prima cosa dovremmo cercare di individuare un pattern in quell’area anomala. Interstiziale? Verrebbe facile, in tempi di covid, specie se uno ha anche febbre e dispnea, ma quell’ipodensità è troppo omogenea per essere interstiziale (non è un pattern lineare, reticolare, nodulare, e neanche fibrosante). E poi i volumi polmonari sono più o meno regolari, vista l’età. Che si tratti di un pattern alveolare? Nemmeno: dello schema alveolare manca tutto, il nodulo acinare che tende alla confluenza, il broncogramma aereo. Ma proviamo a rispondere alla seguente domanda: perché è impossibile che il problema sia del parenchima polmonare? Dalla proiezione P-A possiamo inferire che non si tratti di un problema del lobo medio perché manca, completamente, il segno della silhouette nei confronti del margine destro del cuore (e non vale tirare in ballo il segmento laterale del lobo medio, ci smentirebbe la proiezione laterale). E d’altro canto non possiamo nemmeno pensare alla topografia tipica del lobo inferiore: nella regione proiettiva lobare inferiore, che è sempre posteriore, la densità polmonare è assolutamente regolare. E voi invece sapete benissimo che un addensamento lobare inferiore si manifesta, anche quando è poco denso, perché nella proiezione laterale interrompe la progressione cranio-caudale della trasparenza delle vertebre dorsali. Più si va in basso e più le parti molli del tronco si assottigliano, con il risultato che qualsiasi vertebra dorsale deve sempre avere una trasparenza maggiore di quella sovrastante. Se così non dovesse essere, andrebbe subito nutrito il sospetto che davanti a quella vertebra ci sia qualcosa: per esempio l’area di polmonite che stiamo così disperatamente cercando. Perché noi radiologi abbiamo spesso la tendenza a stressare la diagnosi: febbre, tosse, dispnea. Vuoi non trovare i segni della classica broncopolmonite? Anche no, purtroppo. Anche no.

Ma passiamo in rassegna pure il resto. Il cuore è ingrandito, è vero, e la lieve procidenza del secondo arco sinistro ci fa sicuramente pensare a un’ipertensione polmonare. Gli ili hanno dimensioni maggiori rispetto alla norma, come qualcuno ha fatto giudiziosamente notare, e in effetti anche il circolo polmonare è congesto: ma senza nessun segno di scompenso interstiziale. Al proposito, sono due i segni che bisogna guardare: la cuffia peribronchiale (cioè l’accumulo di fluidi nel connettivo peri-bronco-vascolare centrale, il primo comparto interstiziale che viene interessato dall’edema cardiogeno), che è normale, e il fatto che i vasi polmonari diramandosi verso la periferia si rastremano progressivamente, come è giusto che sia. Dunque niente pattern vascolare, almeno per adesso. La Paziente è nel primo stadio dell’insufficienza cardiaca: quello in cui il sistema, in qualche modo di cui non tratteremo oggi, cerca di restare in equilibrio con i poveri mezzi che ha a disposizione.

E quindi? Se il problema non è del contenuto allora deve essere per forza del contenente. C’è forse una asimmetria nella proiezione delle mammelle? Si, certo, si vede bene. Ma soprattutto, nell’assenza totale di anamnesi patologica remota, che è la palude nella quale noi radiologi di urgenza ci muoviamo ogni santo giorno, per fortuna ci sono i nostri migliori amici: i precedenti. E così, andando a ritroso verso l’ultima TC disponibile, si scopre che la signora è stata sottoposta a una mastectomia ed è portatrice di una protesi mammaria. Il problema quindi è risolto: quella opacità anomala della porzione inferiore del polmone destro è in realtà legata proprio alla presenza di quella protesi, che determina un’attenuazione anomala del fascio di radiazioni.

Perché allora tutto questo sforzo descrittivo? Provo a sintetizzarlo per punti.

1) Qualsiasi esame stiate refertando, inserite sempre nelle note iniziali due righe di anamnesi: il collega che verrà dopo di voi ve ne sarà sempiternamente grato. Se io avessi saputo della mastectomia fin dall’inizio, nemmeno mi sarei posto il problema di qualificare quella opacità anomala.
2) Non fatevi influenzare troppo dal quesito clinico: finireste per stressare segni radiografici che non esistono al solo scopo di portare a casa la diagnosi più semplice e scontata.
3) Sul polmone radiografico ragionate sempre, e dico sempre, per anatomia topografica e per pattern: prima decidete dove si trova il problema, poi escludete le ipotesi improbabili e impossibili, e solo alla fine ipotizzate la natura del problema.

PS Bravissimi, sopra tutti, Lino, Francesco e Vincenzo: e poi dicono che i boomers sono fuori mercato. Anche Salvatore, però, che boomer non è.

Caso quizzzz torace

Ritornando per qualche istante a faccende un più serie, eccovi un caso quiz per rendervi questo tristerrimo inizio settimana un po’ meno tristerrimo.Femmina, anni 66, si presenta con una richiesta urgente del MMG per iperpiressia, tosse e dispnea. E qui da noi non si nega niente a nessuno, come è noto.

Cos’ha la Paziente e dove è stata indirizzata dopo la consegna del referto?

Giurare il falso incrociando le dita, però salvarsela la vita


Il ritorno a un congresso in presenza ha portato anche la possibilità di scambiarsi pareri, sensazioni, esperienze. Tra queste, la sensazione forte, fortissima, che i medici italiani percepiscano un’aria di sbaraccamento, di imminente trasloco, di fine corsa.

Forse non ve ne siete ancora resi conto, ma gli ospedali pubblici si stanno spopolando rapidamente, con progressione logaritmica. Chi rimane è sempre più provato e i pochi che arrivano hanno un atteggiamento che gli altri, più vecchi, faticano a comprendere. Sentir parlare di soldi come elemento chiave della propria vita professionale, da parte di un neospecialista di trenta e rotti anni, è l’inequivocabile segno dei tempi. Chi ha la mia età ricorda perfettamente il sentimento di gratitudine provato nell’essere stati assunti in ospedale e la soddisfazione di uno stipendio decoroso. Nessuno intendeva sottrarsi alle proprie mansioni: si stava tanto in ospedale, giorno e notte, e intanto si imparava un mestiere. L’idea di rifugiarsi nel privato, nella parte d’Italia in cui lavoravo, era inaudita: e infatti i centri privati erano pochissimi.

E c’era orgoglio, anche, un grande orgoglio di appartenenza: al reparto, ai colleghi, alla ULSS dove si lavorava. Ognuno di noi portava con sé l’eredità di colleghi scomparsi nelle nebbie del tempo, ricordati solo per racconti mitizzati dei tecnici più anziani, di vecchi referti stilati a mano che si materializzavano quasi per caso in cassetti impolverati, o in libri non più aperti da anni. Insieme a quell’eredità, immancabilmente, anche il desiderio di emulazione, di essere all’altezza del passato: unito alla certezza che con il tempo, se l’impegno profuso fosse stato sufficiente, il lavoro sarebbe stato premiato. Per quanto incredibile sia, ci sono stati tempi in cui nessuno avrebbe mai pensato che accorpare i primariati potesse essere una buona idea, e quindi puntare su una crescita professionale era possibile e lecito.

Insomma, non so se si è capito, ma il tempo utile per evitare che la barca affondi è finito. Non mettere le mani adesso su una riforma urgente della sanità pubblica vuol dire accettare l’idea che debba implodere, e farlo in tempi brevi. Oppure implica un progetto politico che viene colpevolmente taciuto: e, sinceramente, non so quale delle due opzioni sia la peggiore.


La canzone della clip è “Come salvarsi la vita”, di Roberto Vecchioni, tratta dall”album “Montecristo” (1979). Perché certe volte, come mi sembra di intuire dal tono della canzone stessa, l’unico modo per salvarsi la vita è volersela salvare a ogni costo.

Tutto questo è un gioco da ragazzi

L’anno scorso, di questi tempi, ragionavo tristemente sulle curve dei contagi e dei ricoveri ospedalieri da covid che si impennavano dopo tre mesi di relativa tranquillità estiva. Invitavo tutti alla prudenza e nel mentre mi beccavo, tra le altre offese, dell’infame di regime (sic). All’epoca ipotizzavo anche, molto ingenuamente, che la curva del negazionismo avrebbe avuto un decorso inverso rispetto a quella dei contagi, e invece mi sbagliavo: le due curve sono cresciute in modo sincrono, fornendo agli specialisti del settore materiale per anni di studi antropologici e psico-patologici. E lasciandomi perplesso, incredibilmente perplesso sulla capacità che qualcuno ha sviluppato di immaginare, in un mondo come il nostro che a tutti i livelli è popolato da indicibili cialtroni, un complotto trasversale che necessiterebbe di un’organizzazione perfetta, capillare, coordinata in tutte le sue parti. Ma questo è un altro discorso: a un certo punto, quando tutte le profezie catastrofiste saranno smentite dai fatti, come peraltro accade regolarmente, e sarà finalmente chiaro che il livello del possibile complotto è molto più elementare di quanto si immagini, non so cosa potrà accadere. Forse un suicidio di massa: se lo scopo del complotto era spopolare il pianeta, pensate all’ironia bruciante di una società che si spopola da sola, in preda a un delirio autodistruttivo mediato dall’evidenza che viviamo in un mondo in cui persino poste italiane fatica a consegnare in tempo utile un pacco. Figuriamoci quindi la fatica di organizzare un complotto su scala planetaria, che peraltro non si sa bene quale fine occulto dovrebbe raggiungere.

Ma veniamo a noi: oggi è un giorno veramente speciale. Dopo quasi due anni di reclusione, di webinar terrificanti in cui hanno parlato tutti, ma veramente tutti, e spesso senza avere idea dell’argomento di cui discettavano, di progetti a breve scadenza sistematicamente frustrati dall’evidenza che la situazione epidemiologica non migliorava, siamo ripartiti con i corsi radiologici in presenza a Rovereto. Ho ritrovato i colleghi del gruppo, che ormai dopo quasi dieci anni di lavori sono diventati amici. Ho ritrovato Rovereto, dove mi sento a casa, e il solito albergo, nel quale dormo bene come in nessun altro posto del mondo. Ma soprattutto ho ritrovato i corsisti, il loro desiderio di imparare, di approfondire, di confrontarsi sul lavoro quotidiano. Quando abbiamo aperto i lavori, vi giuro, ero più emozionato del giorno in cui si tenne la prima edizione (e vi sto parlando del lontano, ormai lontanissimo 2012): per cui ho preferito non perdere tempo in discorsi futili e ho chiesto ad Andrea, il co-organizzatore, di fare una foto con l’uditorio.

Ho chiesto: Mi alzate tutti le braccia?

Gli sventurati corsisti mi hanno dato retta e il risultato è quello che immaginate: una foto di speranza, di occhi che sorridono, colma della migliore volontà di ricominciare a vivere, trasudante entusiasmo e desiderio di normalità. Perché io non lo so se esista o meno, lo stramaledetto complotto mondiale su cui in tanti hanno fondato le proprie fortune economiche e di visibilità personale, ma di una cosa sono certo: le cose, tutte le cose del mondo, dopo qualsiasi emergenza tornano normali in poco tempo. Non è un animale così tanto elastico, l’homo sapiens. E non è facile tenerlo in gabbia.

Le uniche cose che non torneranno normali, lo avete già capito da soli, saranno i costi delle bollette energetiche, dei carburanti, del riscaldamento, delle autostrade. Forse il vero complotto era questo: se volete la vecchia, rassicurante crescita economica dovete imparare ad apprezzarla e pagarla a caro prezzo. Nel mondo dell’iperliberismo nulla può essere gratuito: dal vaccino alla corrente elettrica che usate per caricare il vostro smartphone. Insomma: l’unica lezione che avremmo dovuto imparare dalla pandemia mondiale, quella della solidarietà, della condivisione e della compassione, l’abbiamo irrimediabilmente persa. Ma questo è un altro discorso, e lo faremo un’altra volta.


La canzone della clip è “I’ll be your friends”, di Joshua Radin, tratta dall’album “The ghost and the wall” (2021).

Una bottiglia di bianco, una bottiglia di rosso o forse è meglio una bottiglia di rosè?


Le settimane di fine settembre sono quelle in cui, storicamente, le strade statali delle zone in cui lavoro sono intasate dai trattori. Il trattore, da solo, è una maledizione. L’accoppiata trattore-camion è evocatrice di bestemmie che nemmeno i diavolacci dell’inferno più nero. La combo trattore-guidatore imbranato-camion è letale, e induce pensieri di morte (per i conducenti della combo) e suicidio (per te che guidi in coda, a due allora, dopo una giornata di lavoro).

Mi arriva in ecografia un giovane uomo. Ha mal di schiena: io, per abitudine, gli chiedo: Che lavoro fa?

Agricoltore, dice lui.

Fa sforzi pesanti?

Prevalentemente lavoro alla scrivania, risponde. Ma spesso sono sul trattore.

Il trattore? Niente da fare. Mi si gonfia all’istante la vena, non riesco a resistere e parto con la mia solita filippica: ma perché state in strada (domanda stupida), ma perché andate a venti all’ora (domanda stupidissima), ma non esistono strade di campagna alternative (questa è il colmo, me ne rendo conto, se esistessero strade alternative i contadini le preferirebbero di certo alle statali trafficate). Lui resiste alla carica e sorride.

Dice: Dai, mancano pochi giorni, poi la vendemmia finisce e ci togliamo dalle strade.

Dico: La vendemmia?

E certo, fa lui, sempre sorridendo. Adesso che lo sa, quando ci incontra per strada invece di arrabbiarsi pensi che stiamo trasportando l’uva che le permetterà di bere vino con i suoi amici.

E così finisce la partita: agricoltore 1 – radiologo 0. Palla al centro e lezione del giorno: riflettere, e riflettere tanto, prima di aprire la bocca.


La canzone della clip è “scenes from Italian restaurant”, di Billy Joel, dal fantastico LP “The stranger” (1973). Lo dovete ascoltare tutto, per favore.