Perché è tutto a posto, credo che ce la faremo

di | 15 Gennaio 2017

Qualcuno mi ha scritto chiedendomi perché mai la frequenza dei post, nell’ultimo periodo, sia calata così drasticamente.

Beh, qualcuno di coloro che hanno affermato (più o meno scherzosamente) che se scrivo così tanto ho evidentemente molto tempo libero a disposizione sono serviti: il mio attuale periodo lavorativo è talmente pieno di avvenimenti che gestirli tutti insieme talora è davvero complicato. In un anno solare il numero dei radiologi del mio reparto è più che raddoppiato, è partita la guardia attiva ed è stata installata una nuova risonanza magnetica da 1.5 tesla. Dite che non è abbastanza?

Però, accanto alla scarsità di tempo a disposizione per varie ed eventuali, ci sono alcune piccole soddisfazioni che non posso non condividere con voi. Per esempio, la nuova risonanza magnetica: la meraviglia di vederla montare, giorno dopo giorno, da muratori e tecnici così bravi che a momenti non mi sono nemmeno accorto di averli in reparto; la meraviglia ancora più grande di accenderla e capire come ragiona, perché ogni casa costruttrice ha una filosofia che va molto al di là del nome dato alle diverse sequenze; l’inaugurazione, le emozioni forti di quella giornata, l’entusiasmo di avere davanti una strada da percorrere con persone entusiaste e, si spera, pronte ad accompagnarti fino in capo al mondo.

Già, persone entusiaste. Nel mio blog, ovviamente, io parlo più spesso dell’aspetto medico del mio mestiere: d’altronde è quello che faccio per vivere. Ma non dovete dimenticare che quello radiologico è un lavoro di squadra, e che accanto al medico radiologo lavorano i tecnici: quelli che eseguono fisicamente l’esame, quelli del “fermo non respiri”, quelli che abbiamo sempre accanto in qualunque momento, specialmente quelli difficili dell’urgenza improvvisa o dell’esame complicato.

In questi giorni tre dei miei tecnici stanno imparando a usare la nuova risonanza magnetica. Io vorrei che voi poteste vedere i loro occhi illuminarsi mentre capiscono dove mettere le mani, quali parametri modificare per ottenere il miglior risultato possibile, o la gioia che traggono dal veder comparire sullo schermo le immagini belle che questa nuova apparecchiatura è in grado di produrre. Vorrei che li ascoltaste mentre parlano tra loro e con il loro collega che gli sta insegnando il mestiere, mentre si scambiano pareri e aiuto quando uno di loro dimentica un passaggio cruciale. Vorrei che poteste ascoltare le loro risate: perché non sta scritto da nessuna parte che si lavora bene solo nel silenzio, nella gravità dell’animo, nella paura di sbagliare ed essere cazziati.

L’ho già detto una volta: io voglio che i pazienti, ogni tanto, ci sentano ridere. Voglio che, mentre attendono il loro turno in sala d’aspetto, possano intuire che una squadra vincente è quella in cui il lavoro è divertente, stimolante, condiviso. Voglio che tutti sappiano che nel mio reparto si lavora bene e con il sorriso sulle labbra, tutte le volte in cui è possibile; e che quando metteranno piede nella sezione diagnostica che li attende troveranno comunque personale attento e competente.

Perché il nostro è un mestiere maledettamente serio. Così serio che per affrontarlo e farlo affrontare ai pazienti ci vuole sempre, e dico sempre, un bel sorriso che non sia di circostanza.


La canzone della clip è “All right”, di Christopher Cross, tratta dall’album “Another page” (1983). In questo periodo mi sto ammazzando del buon Christopher come quando ero adolescente: ottimo autore che poi è svanito nella nebbia di quelli che, in qualche modo, non ce l’hanno fatta a diventare immortali nonostante invidiabili canzoni che sono rimaste nella storia. Vi propongo la versione live dell’album “A night in Paris” (2013) perché è più ritmata e meno leziosa della versione originale, e perché mi piace da matti la faccia scazzata con cui il nostro Cris canta la sua canzone per, immagino, la miliardesima volta.

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