Piazza Sporca

di | 7 Settembre 2012

A una prima occhiata l’argomento di questo post c’entra poco con le cose di cui parlo abitualmente, ma poi è chiaro che no, non è così, che tutto si tiene e che il meccanismo che ha generato la questione è lo stesso che ne genera altre, più o meno analoghe, sul mio e su altri luoghi di lavoro.

Parto da lontano. Dopo pochi mesi di blog, e sto parlando della primavera 2006, fui contattato via mail dalla giornalista di un quotidiano locale. Il blog era interessante, disse, avrebbe voluto farci su un articolo. Io risposi gentilmente che no, grazie, i giornalisti proprio non ce la faccio a sopportarli (non le dissi proprio così, ovviamente, all’epoca ero un ragazzo più educato: ma il senso della replica fu quello). Sempre per una questione di cortesia risposi molto sinteticamente alle sue domande su come era nata l’idea del blog e su quali fossero le sue finalità, convinto che la questione si sarebbe chiusa lì. Qualche giorno dopo, invece, l’articolo fu pubblicato lo stesso sul giornale, strutturato come se realmente avessi risposto a domande ufficiali in modo ufficiale. La giornalista, in un certo senso, aveva eluso la mia richiesta che non fossero pubblicati articoli sul mio blog e usato per lo scoop (chiamiamolo così) le mie confidenze private. In una sola frase, la giornalista mi aveva fregato.

Torniamo ai giorni nostri. L’ultima puntata di Piazza Pulita, programma di approfondimento politico serale di La7, ha vissuto il suo momento di gloria al momento dello scoop (chiamiamolo così): una confidenza estorta con frode, perchè questo è il termine corretto da usare, a un consigliere regionale del Movimento 5 Stelle di Grillo. Nel quale il consigliere sputtanava, diciamo così, il Movimento e chi lo gestisce restando più o meno nascosto dietro le quinte.

Adesso, il problema non è l’attacco premeditato a Grillo (intervista rubata 4 mesi fa: perché resa pubblica solo ora?); e non è nemmeno l’isteria con cui tutti i poteri tradizionali stanno somatizzando il terremoto elettorale che li attende, e di cui Grillo sarà l’epicentro. E nemmeno mi turba più di tanto che i mercenari pagati per condurre questa guerra, perché questo è il termine corretto da usare, saranno i giornalisti: è uno spettacolo al quale siamo abituati, e da molto molto tempo. Per inciso, non è che io sia un fan sfegatato di Grillo: dovessi votare per lui, e giuro che a volte il pensiero mi tenta, sarebbe solo per godemi lo spettacolo del terrore negli occhi di gente come D’Alema o Cicchitto.

Il turbamento nasce dalla disgustosa giustificazione che sottende la nefandezza del furto di intervista e del tradimento di fiducia perpetrato ai danni dello sprovveduto consigliere regionale: e  quando uno come Mentana, che certo il pelo sullo stomaco non ce lo ha corto, ha storto il simpatico musetto in una smorfia di riprovazione, il conduttore ha ribattuto piccato che in fondo, che diamine, nel giornalismo si è sempre fatto così con tutti, per esempio perché Lusi si e quell’altro no? Insomma, mi è parso di capire che secondo il giovane e scaltro conduttore la merda puzza meno se è democraticamente distribuita, ossia se viene sparsa da tutti e su tutti.

Questa è un’equazione molto insidiosa perché finisce per giustificare qualunque genere di nefandezza: il mio lavoro, per esempio, è inquinato da persone che, insomma, poffarbacco, se lo fanno (o non lo fanno) gli altri perchè non posso farlo (o non posso non farlo) anche io? Tutto qui, insomma. Noi italiani stiamo diventando misura di tutte le cose non in senso filosofico, come sarebbe auspicabile, ma in senso nazional-popolare. Quello più deteriore.

Finché il cerchio si chiude: e il giornalista, che ormai è da tempo (cronicamente, patologicamente, consapevolmente) inetto a descrivere la realtà per quella che è, riesce invece nel suo intento originario quasi senza volerlo, incidentalmente, e in modo per giunta non privo di una sua grottesca comicità involontaria. Il giornalista finisce insomma per raccontare gli italiani attraverso sè stesso e il proprio personale malcostume; sentendosi in diritto di farlo perchè è così che fan tutti. E così facendo fornisce il più preciso ritratto possibile di questo paese allo sbando in cui tutti si vendono per un tozzo di pane, ma con l’onesta motivazione di non far nulla di diverso dagli altri.

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