Postilla alla postilla, e così via

di | 2 Gennaio 2013

Matteo, nel suo commento all’ultimo post, pone alcuni interessanti quesiti.

1. (…) non mi è chiara la distinzione tra radiologo vero e radiologo falso, io personalmente spero di rientrare tra i primi ma vorrei chiarimenti su questa distinzione da parte del Gaddo (…).

2. (…) quante volte abbiamo visto i clinici andare a chiedere il secondo parere a un radiologo che ritengono più esperto o più capace? Lo ritenete corretto? E come pensate ci rimanga il radiologo che per primo ha stilato il referto? (…)

3.  (…) ma siamo proprio sicuri che i medici che richiedono gli esami siano loro stessi in grado di giudicare il lavoro del radiologo? (…)

Provo a rispondere per punti.

1 e 2. Se si legge il mio ultimo commento al post precedente, in risposta al suo, peraltro, è già chiara la risposta alla prima domanda. Conosco bene colleghi (pochissimi, invero) i cui referti, giuro su quanto ho di più caro al mondo, vengono gettati via senza neanche essere letti. Questo accade perché gli errori o le omissioni o le imprecisioni nei loro referti sono francamente troppi: il clinico abbozza due o tre volte, ma alla quarta giustamente gli girano i maroni perché magari non capisce nulla di radiologia, ma sa riconoscere un errore di metodo o legato all’ignoranza cavernosa oppure alla cialtronaggine del radiologo refertante. Il quale, giustamente, viene cancellato dalla memoria del clinico: in alcune riunioni multidisciplinari devo mediare, arrampicandomi sugli specchi, perché errori grossolani non abbiano conseguenze gravi per chi li ha commessi per la centomillesima volta. Il che non vuol dire che tutti gli altri, me compreso, non sbaglino mai: è solo questione di frequenza, e se permettete anche di stile nel commettere errori. Posso sbagliare diagnosi perché metto insieme le informazioni costruendo un puzzle errato, e posso sbagliare perché due volte su tre non segnalo il reperto chiave o produco referti vuoti di significato. Questa, credo, è la differenza tra un radiologo vero e uno, diciamo così, meno vero. Il che risponde anche alla seconda domanda: è giusto che un clinico chieda un secondo parere, se il primo è manchevole in qualcosa. E se la manchevolezza dei referti è costante, pervicace, e sottende la pochezza del radiologo, a me frega ben poco di come si sente sapendo che i suoi referti vengono messi in discussione. A me pesa molto di più perdere tempo a rivedere esami che dovrebbero già essere refertati nel migliore dei modi possibili, o dover parare loro il culo aggratis nelle riunioni multidisciplinari: e magari passare anche da stronzo perché lo faccio (per inciso, la mia prima risposta al clinico, e molto spesso l’unica e irremovibile, è: Vai a parlare con chi ha fatto l’esame, non con me).

3. In realtà è inutile far notare al clinico le incongruenze delle sue richieste, sono d’accordo con Matteo. Molto meglio costruire un rapporto fondato sulla reciproca fiducia: il che prevede la chiusura di un occhio, e a volte anche due, sulle eventuali mancanze reciproche. Sapendo che la giusta crescita professionale prevede un lavoro a due, e non in solitaria. Ma il clinico accidenti e se è in grado di valutare il lavoro del radiologo: per le conseguenze che i nostri referti hanno sul suo, di lavoro, tanto per cominciare. E nessuno più di lui può e deve giudicare il nostro lavoro. Il che ci riporta alla collaborazione, al dialogo, a sapere da parte sua cosa è lecito chiedere e da parte nostra cosa è dovere rispondere. E’ fatica, lo so, ma è fatica buona.

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