Un pensierino, breve breve, prima di prendermi la solita pausa estiva dal blog (può darsi che poi mi prenda l’uzzolo di scrivere un post estivo, marittimo, ma non ci contate troppo).
Un pensierino che avrebbe potuto essere una lettera aperta a qualcuno, ma tanto nessuno la leggerebbe. Oppure, se qualcuno dei destinatari dovesse leggerla, non la capirebbe o peggio ancora se ne fotterebbe. Dunque lasciamo stare.
Dopo l’ennesimo taglio di quasi 2 miliardi e mezzo alla sanità (fonte: quotidianosanità.it del 28/07/2015) e le giustificazioni bizantine di un ministro che in ambito governativo probabilmente viene considerato come il due di coppe quando briscola è bastoni (fonte: quotidianosanità.it del 31/07/2015), e che continua a proclamare ai quattro venti che non ci saranno tagli alla sanità (venendo poi costantemente smentita dai fatti), voi capite che siamo arrivati al dunque.
Il dunque è un punto ipotetico dello spazio e del tempo nel quale tutto apparentemente va alla deriva e il caos è massimo (tagli lineari; accanimento contro la classe medica e quindi contro i pazienti, inevitabilmente; sanità nazionale disgregata in venti realtà regionali ognuna delle quali agisce senza concerto con le altre, e spesso al di fuori di qualsiasi logica di programmazione futura), ma sembra di intravedere nella nebbia spessa una serie di puntini che posso essere uniti. Non vi dirò (ancora) quale figura vedo emergere unendo i famosi puntini, ma se non siete carenti in fantasia lo avete già immaginato da soli: d’altro canto abbiamo un illustre precedente che ci vale da monito, cioè la Grecia.
La lettera aperta, se mai l’avessi scritta, avrebbe avuto come destinatari i decisori intermedi. Le amministrazioni regionali, per esempio, ma anche qualche gradino più in basso: perché è vero che qui tutti teniamo famiglia, come si dice, e bisogna pur trovare il modo meno doloroso possibile di restare in sella al destriero; ma è anche vero che i nostri figli e nipoti, ammesso che di loro ci interessi qualcosa, rischiano di vivere in un deserto infrastrutturale che non s’era visto nemmeno dopo la seconda guerra mondiale. L’argomento della missiva sarebbe stato: state guardando abbastanza lontano o vi state fermando con lo sguardo alle prossime elezioni? Che soddisfazione proverete quando, tra dieci o vent’anni, tutto sarà andato a catafascio e voi, canuti e finalmente saggi, ripenserete al vostro lavoro e alle vostre responsabilità? Certo, potreste obiettare che il vostro destino lavorativo non sarà differente dal mio: il giorno dopo la pensione, ammesso di arrivarci, nessuno si ricorderà più di noi e delle nostre brutte facce; e qualcuno, chiunque altro, riprenderà in mano il filo srotolato per anni e ne farà tutt’altro rispetto alle nostre belle intenzioni. Eppure non posso fare a meno di ripensare a quel giorno in cui Craxi, in seduta plenaria del Parlamento, disse: Si alzi in piedi chi non è correo. Nessuno si alzò, gli va dato atto, eppure all’epoca pensai che chi ha più potere, inevitabilmente, ha pure maggiori responsabilità.
Ecco, è con questa riflessione che vi lascio alla canicola del mese di agosto. Io cercherò di staccare la spina, di pensare ad altro: perché l’autunno, oltre alle foglie che cadono, forse porterà nuovi orizzonti con cui misurarsi. Non ci riuscirò del tutto, perché già a settembre ci sono importanti appuntamenti congressuali a cui partecipare, ma l’intenzione di base è la seguente: leggere abbestia, dormire, correre in spiaggia di mattina presto con i Van Halen sparati nelle cuffiette dell’iPhone. Se qualcuno poi volesse regalarmi la fascia da braccio dove tenere l’iPhone durante la corsa, beh, avvisatemi che vi mando l’indirizzo.
Buone vacanze a tutti. Anche e soprattutto quelli che non le faranno.